Quel tempo libero “colonizzato” dai social

Ancora non appare ben chiaro alle famiglie quali insidie custodiscano le mura domestiche e quanto il “tempo della solitudine” possa strutturare cattive abitudini nei giovani e portarli all’apatia.
Foto di natureaddict da Pixabay

Il tempo libero dei preadolescenti e degli adolescenti, meno strutturato e vigilato rispetto a quello dei bambini, è sempre più “colonizzato” dall’uso delle piattaforme digitali e dei socialnetwork. A confermarlo sono i dati diffusi qualche giorno dall’Istituto Superiore di Sanità, con la ricerca “La sorveglianza HBSC (Health Behaviour in School-aged Children) – Le tecnologie digitali negli adolescenti”.

Le informazioni raccolte, relative al 2022, mostrano che gran parte della vita relazionale di preadolescenti e adolescenti avviene online. Già tra gli undicenni, più di due ragazzini su tre hanno quotidianamente contatti online con amici stretti.

Le percentuali subiscono un incremento con l’aumentare dell’età. Sono i quindicenni, in maniera particolare, a mostrare di avere contatti con amici conosciuti tramite Internet (il 21,1% riporta scambi giornalieri).

Molti di loro non escono molto, trascorrono gran parte delle giornate in casa, da soli in compagnia dei propri device. Questa è, purtroppo, anche l’età in cui spesso avviene un abbandono della pratica sportiva e in cui si riduce il tempo di permanenza a scuola.

La finestra temporale pomeridiana si allarga e quasi sempre i genitori sono impegnati al lavoro in quelle fasce orarie. Il tempo libero si trasforma così in uno spazio di solitudine non controllato, in cui le mura casalinghe apparentemente offrono un abbraccio caldo e sicuro, celando in realtà l’insidia dell’alienazione dal mondo reale.

L’utilizzo dei socialnetwork e l’accesso alle piattaforme multimediali sono “un modo per scappare dai sentimenti negativi”, almeno così dichiara una percentuale che si attesta intorno al 45% fra gli undicenni e arriva ben oltre il 50% fra i diciassettenni (toccando quota 65,3% tra le femmine).

Mediamente un ragazzo su tre dichiara di mentire ai propri genitori in merito al tempo trascorso online.

Altri ammettono che l’abuso di questi strumenti ha su di loro degli effetti collaterali: problemi relazionali, fallimento del controllo del tempo, sintomi di astinenza quando si è offline, volontà di passare sempre più tempo online, ansia e stress. Questi comportamenti portano a trascurare altre attività, come quelle scolastiche (con relativo calo del rendimento) o sportive, e causano litigi con i genitori.

È tra gli 11 e i 13 anni che gli adolescenti iniziano a sperimentare atteggiamenti online potenzialmente rischiosi. Per i ragazzi il picco si attesta proprio verso gli 11 anni e in genere coincide con l’esordio in autonomia sulle piattaforme dedicate ai videogame, dove al rischio “dipendenza” si aggiunge anche una certa esposizione ai fenomeni di cyberbullismo. Andando più avanti nelle successive fasce di età (dai 13 ai 17enni), le femmine che mostrano un uso problematico dei social invece risultano il doppio rispetto ai maschi.

Il quadro, che il report HBSC riporta, interroga genitori ed educatori.

Quando i cancelli degli edifici scolastici si chiudono, al termine delle lezioni, a quale tipo di esperienze educative e formative possono attingere i nostri giovani? La domanda è urgente, perché in gioco c’è il benessere psicofisico degli adolescenti.

Ancora non appare ben chiaro alle famiglie quali insidie custodiscano le mura domestiche e quanto il “tempo della solitudine” possa strutturare cattive abitudini nei giovani e portarli all’apatia. A questo proposito ben vengano i corsi pomeridiani proposti dalle istituzioni scolastiche, le attività dei centri sportivi o degli oratori.

L’eccessivo utilizzo degli smartphone sta diventando un serio problema anche durante l’orario delle lezioni e non soltanto perché vengono utilizzati per “copiare” o “imbrogliare” sulla preparazione didattica. Il cellulare è un fortissimo distrattore e “spunta” continuamente dalle tasche e dagli zaini degli alunni. Nella maggior parte dei casi, viene utilizzato come “anestetizzante”, partecipando a giochi online, o scrollando in maniera meccanica e ripetitiva pagine social.

Attività di volontariato o di aggregazione giovanile possono costituire un buon antidoto al “buco nero” che la tecnologia, se utilizzata in maniera inconsapevole e compulsiva, produce. Infine, la lacuna maggiore risulta essere la carenza di pensiero critico: una frontiera ancora non sufficientemente esplorata sia nelle famiglie, che nei percorsi di istruzione.


Silvia Rossetti

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