Lo “Sterminator Vesevo”: un rischio mai assopito

Era il18 marzo 1944 quando cominciò l’ultima eruzione del Vesuvio. L’evento, che durò una decina di giorni, interessò in particolar modo i comuni di San Sebastiano, Massa, Pompei, Nocera, Scafati e Poggiomarino. Quale è la situazione dei vulcani in Campania e quali sono le strategie di prevenzione in caso di eruzioni e allarme?
Vesuvio
L’Agro nocerino sarnese con il Vesuvio sullo sfondo – foto Salvatore Alfano

Lo “Sterminator Vesevo” di leopardiana memoria è tra i sorvegliati speciali di centinaia di esperti per salvaguardare la sicurezza degli abitanti della regione più popolata d’Italia: la Campania. Ottant’anni fa, proprio in questo mese, ci fu l’ultima eruzione. Ma non è l’unico vulcano che lo caratterizza.

Volgendo lo sguardo a nord c’è la caldera dei Campi Flegrei che, attraverso il bradisismo, spesso accompagnato da sisma di lieve entità, si fa sentire facilmente anche a molti chilometri di distanza e può causare danni a infrastrutture ed edifici. Di fronte: Ischia, un’isola formata da numerosi vulcani che deve la sua estensione proprio alle eruzioni del passato. Invece, al largo di Napoli “dorme” il Marsili, il più grande vulcano sottomarino d’Europa.

Dunque, la Campania felix è esposta a più pericoli naturali di origine vulcanica che si fanno sentire attraverso diversi fenomeni, più o meno avvertiti dalla popolazione, e che possono evolvere anche in eventi capaci di comportare danni a strutture o, peggio, perdite di vite umane.

Quasi un secolo di studi ha permesso di ipotizzare gli step della più pericolosa eruzione tipo in Campania.

In particolare: formazione di una colonna di gas e brandelli di lava incandescenti, alta fino a decine di chilometri; caduta di materiale vulcanico di grosse e piccole dimensioni, perciò trasportabile dal vento; scorrimento, a velocità e temperature elevate e per alcuni chilometri, di flussi piroclastici.

Zona rossa e zona gialla

Sulla base di questi scenari sono state identificate una zona rossa, cioè, l’area esposta al pericolo di invasione di flussi piroclastici (Scafati è l’unico comune della provincia di Salerno che vi ricade) e una zona gialla: l’area che in caso di eruzione è esposta alla significativa ricaduta di ceneri vulcaniche. Questa include molti comuni del salernitano, dall’Agro nocerino sarnese ai Monti Lattari.

Si tratta di: Angri, Bracigliano, Castel San Giorgio, Cava de’ Tirreni, Corbara, Mercato San Severino, Nocera Inferiore, Nocera Superiore, Pagani, Positano, Ravello, Roccapiemonte, San Marzano sul Sarno, San Valentino Torio, Sant’Egidio del Monte Albino, Sarno, Scala, Siano e Tramonti.

Per la gestione del rischio vulcanico sono stati redatti a livello nazionale dei piani di emergenza specifici, ma anche i comuni sono chiamati a fare la propria parte.

Attualmente 525 su 550 Comuni (circa il 95%) sono dotati del Piano di emergenza: in provincia di Salerno ne mancano all’appello 11 su 128. Un’alta percentuale di comuni (circa l’80%) dovrebbe aggiornarlo poiché l’anno di redazione del piano, probabilmente grazie ai bandi di finanziamento regionali di quel periodo, risulta tra il 2014 e il 2018.

In questi fondamentali strumenti di gestione del rischio sono inseriti livelli di emergenza definiti grazie alla possibilità di monitorare i segnali di avvertimento con strumentazione altamente tecnologica. Si fa uso anche dei satelliti.

La più antica istituzione scientifica al mondo dedicata allo studio e al monitoraggio dei vulcani è l’Osservatorio Vesuviano, fondato nel 1841 su impulso del governo borbonico e che vanta tra i suoi direttori Giuseppe Mercalli, padre della famosa scala di valutazione dell’intensità di un terremoto.

L’analisi di un cospicuo numero e tipologia di dati consente agli scienziati dell’Osservatorio, in stretta collaborazione con il Dipartimento Nazionale di Protezione Civile e la Regione Campania, di interpretare i segnali e di attribuire un codice per l’attivazione delle diverse fasi previste dai piani di emergenza: verde (base), giallo (attenzione), arancione (preallarme), rosso (allarme).

L’evacuazione

La fase più complessa è quella dell’evacuazione che viene avviata al livello rosso, per questo la Regione Campania sta predisponendo un apposito “Piano di Allontanamento” per trasferire la popolazione della zona rossa, circa 670mila persone, nelle regioni italiane gemellate. È un aspetto stabilito dal Consiglio dei Ministri nel 2014.

L’obiettivo è realizzare l’evacuazione in 72 ore nell’ipotesi cautelativa che sia necessario l’allontanamento di tutta la popolazione simultaneamente. In particolare, si prevede lo spostamento assistito con pullman dalle “Aree di attesa” alle “Aree di incontro” individuate appena fuori dalla zona rossa. Da qui il trasferimento con pullman, treni o navi verso i “Punti di prima accoglienza” nelle Regioni e Province autonome gemellate.

Tra le aree strategiche individuate ci sono il porto di Salerno e la stazione ferroviaria di Nocera Inferiore; quest’ultima ricade in zona gialla, perciò soggetta a dover gestire una possibile emergenza nell’emergenza. È quindi fondamentale formare la popolazione ad affrontare gli scenari di crisi e preparare anche il territorio con infrastrutture e servizi adeguati.

Tuttavia, le criticità quotidiane delle nostre città ci dimostrano quanto invece si è in ritardo rispetto ad eventi che la scienza e la storia hanno annunciato da tempo, ma si continua a trascurarli forse distratti, assuefatti alla vista di un “innocuo” Vesuvio e alla “leggerezza” delle scosse che ogni tanto provano a ricordarci che viviamo in un territorio ad alto rischio.

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