«Perché oggi una giovane dovrebbe scegliere la vita contemplativa?». È questa una delle domande che ho posto a suor Teresa Ruggiero nel nostro incontro nel protomonastero delle monache redentoriste di Scala, dove vive dal 2018.
41 anni e un sorriso a 32 denti dipinto sulle labbra, è originaria della parrocchia di Santa Maria di Costantinopoli in Angri ed è al terzo anno di professione temporanea nell’Ordine del Santissimo Redentore, il ramo femminile della famiglia redentorista fondato nel 1731 dalla beata suor Maria Celeste Crostarosa.
«Per toccare con mano l’invisibile e riscoprire l’essenziale – è la risposta di suor Teresa alla mia domanda –. Qui non ci sono cose superflue, né nel cibo, né nel parlare, né nel vivere quotidiano. Chi cerca l’essenziale qui lo trova. La vita contemplativa è prima di tutto una chiamata alla vita. Ogni chiamata è un sorriso di Dio sul mondo. E il mondo oggi ha bisogno di quel sorriso».
Incontro suor Teresa in un luminoso sabato di gennaio. Scala è la città più antica di quel paradiso terrestre che è la Costiera Amalfitana. Le chiedo di ritornare con la mente all’intuizione vocazionale, o, come dice lei, alle sue quattro del pomeriggio. Il riferimento è al passo del Vangelo giovanneo che riporta quello stupendo invito del Maestro a Giovanni e Andrea: «Venite e vedrete» (cfr Gv 1,39). «Un passo ricco di emozioni – racconta –. Penso spesso alle mie quattro del pomeriggio, le ricordo come fossero ieri. Bisogna tornare indietro fino al 2007.
In una domenica come tutte le altre, al termine della Messa in parrocchia, don Marco Limodio, all’epoca collaboratore del parroco don Luigi La Mura, invitò me e mia sorella a partecipare a degli incontri dedicati ai giovani. Accettammo l’invito per curiosità e lì abbiamo iniziato a scoprire un modo diverso di vivere la parrocchia. Eravamo un gruppo molto eterogeneo: pochi e diversi, come gli apostoli. Poi don Marco dovette andare via, ma prima di lasciarci ci fece conoscere l’Azione Cattolica, una grande famiglia nella quale ci siamo sentiti subito accolti».
Nel frattempo Teresa, già segretaria presso uno studio pediatrico, si iscrive alla facoltà di Scienze Infermieristiche presso l’università Federico II di Napoli. Un’amica di studi la invita a frequentare alcuni incontri mensili dedicati ai giovani e promossi dalle monache redentoriste di Scala. In realtà Teresa aveva già conosciuto la realtà di quel monastero.
«Il nostro primo campo estivo con l’Azione Cattolica fu a Scala. Eravamo in una struttura attigua al monastero e ricordo che ci fu raccomandato di fare silenzio nel pomeriggio per non disturbare le monache. Ci ridevamo su. Una mattina, poi, il mio parroco don Luigi mi invitò a partecipare alla Messa celebrata nella chiesa del protomonastero. Vi partecipai dall’ultimo banco, fissando, quasi spaventata, tutti quei veli neri. Subito dopo la Messa scappai via».
Per molti anni Teresa continua a frequentare gli incontri mensili organizzati dalle monache. Poi, nel 2016, c’è la svolta: va a lavorare per sei mesi come infermiera a Pantalla, un piccolo paesino della provincia di Perugia. «Lì ho toccato con mano una fragilità per la quale le cure sanitarie non potevano far nulla. Si è incominciata ad accendere in me una luce – rivela –. Diversi sacerdoti mi invitarono a vivere un ritiro dalle monache a Scala. A gennaio 2017 mi arrivò un’altra proposta di lavoro. Ero di fronte alla scelta: sei mesi a Genova o il ritiro dalle monache. Scelsi il ritiro. In uno dei momenti di silenzio personale, meditando un passo del profeta Osea, ho sentito rivolto a me l’invito: Tu conoscerai il Signore (Os 2,22b). Questo “conoscere” il Signore mi ha fatto il solletico: io conosco già il Signore, mi dicevo. E allora mi è venuta voglia di conoscerlo più a fondo».
Dopo aver vissuto altri ritiri ed esperienze, il 2 aprile 2018 Teresa, accolta dalla superiora suor Imma Di Stefano, inizia l’anno di postulandato; l’anno successivo inizia il noviziato: «Un tempo in cui ho potuto respirare una forte libertà: libera di scegliere, libera di fare bene e di sbagliare. Fuori ci sono molti più condizionamenti». Il 31 maggio 2021, poi, la professione temporanea nel Duomo di Scala, durante la quale ha ricevuto l’abito monacale e ha emesso i voti di castità, povertà ed obbedienza. A maggio suor Teresa dovrà rinnovare per un altro anno la professione, e così anche nel 2025. Poi, fra due anni, se sarà volontà di Dio, emetterà la professione solenne.
Di quel 31 maggio di tre anni fa ricorda due momenti: la vestizione, con il passaggio dall’abito blu del noviziato a quello rosso (che vuol ricordare l’amore di Dio e il dono della sua redenzione), e la consegna dei volumi della liturgia delle ore. Racconta: «Dissi tra me e me: questa sarà la mia vita, il mio impegno nella Chiesa. Il velo è un segno, ma i libri della preghiera dicono di una responsabilità. Quel giorno mi sono sentita fortemente sostenuta dai miei genitori. Una grazia che non è data a tutti e che porterò sempre nel cuore».
Mi colpisce di suor Teresa l’attaccamento alle radici, al papà Alfonso, alla mamma Anna, alle sorelle Annarita e Patrizia e ai suoi tre nipotini, così come alla sua comunità parrocchiale d’origine, al di là delle distanze: «C’è un cordone che ci lega, con la famiglia come con gli amici. La parrocchia e l’Azione Cattolica hanno rappresentato per me una seconda famiglia. Don Luigi è come un padre: negli anni del discernimento mi ha aiutato molto, mettendo sempre in discussione quanto gli dicevo, come fa un buon educatore. Oggi davvero mi sento figlia della mia parrocchia, della mia città e della mia diocesi. E puntualmente mi informo sulle cose belle che accadono e su quelle più spiacevoli, perché dalle radici non si scappa».
La vita della comunità monastica di Scala è scandita da attività e mansioni ben precise. Suor Teresa, fra le 14 monache del protomonastero, si occupa dell’infermeria: «Pur vivendo in clausura, la nostra spiritualità si basa molto sull’accoglienza. Il Concilio Vaticano II ha portato ad un rinnovamento dell’Ordine e ci ha fatto riscoprire la bellezza del nostro carisma. Oggi tante persone, fra cui anche molti turisti, bussano alle nostre porte, chiedono preghiere, e con loro si crea un contatto anche spirituale. Portano dentro una sete di verità, una ricerca di infinito».
Vorremmo poter dialogare ancora, ma il tempo a nostra disposizione è finito. Suor Teresa deve raggiungere l’ospedale di Salerno per assistere suor Isabella, 90 anni ed in lenta ripresa da una frattura del femore, «che non vede l’ora di rientrare in monastero e tornare a camminare». Perché? Semplicemente, per continuare a toccare con mano l’invisibile e a riscoprire l’essenziale.
L’Ordine del Santissimo Redentore
La beata suor Maria Celeste Crostarosa nasce nel 1696 a Napoli. Entrata nel 1716 fra le carmelitane scalze, otto anni più tardi si trasferisce nel monastero delle visitandine di Scala. Nel 1725, ancora da novizia, ha un’esperienza mistica e redige una regola, approvata poi dall’autorità ecclesiastica grazie alla mediazione di sant’Alfonso Maria de Liguori (amico della Crostarosa) e adottata dalle monache di Scala nel 1731. Fonda così l’Ordine del Santissimo Redentore (l’anno successivo nascerà la Congregazione, ramo maschile della famiglia redentorista). Muore a Foggia nel 1755.
Oggi l’Ordine conta quattro monasteri in Italia e alcune decine in diversi Paesi nei cinque continenti.
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