Lavoro: dignità e sicurezza sono un diritto. Il parere del costituzionalista Ronga

Dignità e sicurezza: un diritto. Dalle pagine di Insieme il punto di Umberto Ronga, professore ordinario di diritto costituzionale, Università Federico II di Napoli
Umberto Ronga

La dignità è un valore: ancor prima di essere un concetto giuridico, è un valore; ed è un valore costituzionale; ideale, culturale, politico di carattere primario; e trasversale, pertanto ascrivibile ad ambiti diversi, dacché essa è corollario dell’uomo; della persona umana e del suo riconoscimento sociale.

Quando è associata al lavoro, poi, la dignità assume valenze ulteriori: come il rispetto della persona; l’esclusione dallo sfruttamento e dal lavoro minorile; l’equa retribuzione; la parità di genere e di trattamento; il diritto al riposo; e, nei suoi diversi volti nell’oggi, anche come diritto alla disconnessione. Valenze, queste soltanto alcune, tutte riconducibili al lavoro nella sua dimensione costituzionale.

D’altronde è noto che il lavoro sia colonna portante del nostro ordinamento. «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro», è scolpito sin nel primo articolo della nostra Costituzione. Esso, pertanto, si configura come principio (lavoristico); e al contempo come diritto individuale, inteso alla realizzazione della persona; e come dovere collettivo, attraverso cui ciascuno – secondo le proprie possibilità, inclinazioni, aspirazioni – concorre «al progresso materiale o spirituale della società» (art. 4 Cost.). Ciascuno, in condizioni che, almeno astrattamente, dovrebbero compiersi in piena libertà: secondo i propri talenti.

Umberto Ronga con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano durante un’udienza concessa alla presidenza nazionale FUCI
Umberto Ronga con il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano durante un’udienza concessa alla presidenza nazionale FUCI

Certo, rileggere queste disposizioni costituzionali, e ricercarne lo spirito, a oltre 75 anni dall’entrata in vigore della Costituzione, impone oggi di fare i conti con contesti culturali, sociali, economici profondamente mutati. Con sfide diverse, altrettanto e per alcuni versi ancor più difficili, di quelle che hanno caratterizzato le diverse stagioni, pur delicatissime, che nel solco della esperienza repubblicana hanno condotto all’affermazione del diritto in discorso.

Infatti, se, da una parte, quel diritto ha conosciuto graduali forme di consolidamento, anche in ragione di dirimenti mobilitazioni culturali, dall’altra, nell’oggi, permangono aperte innumerevoli questioni delicatissime: si pensi, su tutte, alla piaga della disoccupazione; e alle connesse conseguenze, in termini di povertà (non solo economica), e ai rispettivi riflessi più gravi, come quelli che si dipanano nelle diverse forme di devianza, non più soltanto giovanile. Circostanze che, nel contesto sociale e istituzionale italiano, contribuiscono a delineare divari profondi, a partire da quelli territoriali.

Ancora: si pensi ai fenomeni nuovi con cui il lavoro ha dovuto confrontarsi – a partire dalla globalizzazione e dalle nuove tecnologie, sino alle più recenti transizioni verso forme di intelligenza artificiale: potenzialità straordinarie, certo, ma non prive di impatto anche negativo sulle dinamiche correlate al lavoro, specie in alcuni comparti. 

E in questo quadro, tra i temi di maggiore rilievo c’è quello della sicurezza del e sul lavoro. Al riguardo, i dati relativi a incidenti e morti sul lavoro non possono lasciare indifferenti: la rilevazione annuale INAIL conta, solo nel 2023, 585.356 casi di infortuni sul lavoro; di cui ben 1.041 con esito mortale (cfr. Rapporto Inail 2019-2023).

Inoltre, secondo la rilevazione dell’Osservatorio Nazionale di Bologna morti sul lavoro, tra il 2008 e il 2023 sono state registrate 21.050 morti sul lavoro (e il dato potrebbe ritenersi solo parziale, alla luce di decessi di lavoratori che sfuggono a queste rilevazioni, anche perché precedenti all’introduzione dei sistemi di monitoraggio).

Questi numeri, sicuramente drammatici, restituiscono la portata di un fenomeno radicato, e ancora troppo attuale, che ha variamente chiamato in causa – ma non sempre in modo coerente – l’intervento del decisore politico.

Dapprima con il decreto legislativo n. 81 del 2008 in materia di misure generali per la sicurezza sul lavoro (recante l’obbligo in capo al datore di lavoro di adottare misure necessarie alla sicurezza del lavoratore, in continuità con l’art. 2087 del Codice civile, in tema di tutela delle condizioni di lavoro). Tale disciplina (qui minimamente sintetizzata) è stata oggetto di modifica a opera del decreto-legge n. 146 del 2021 (recante l’estensione dei poteri di vigilanza dell’Ispettorato nazionale, l’implementazione del SINP – Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro – e il rafforzamento del regime sanzionatorio).

Gli sforzi del legislatore e dei diversi organi preposti al fine della sicurezza – a partire da quelli di controllo della corretta implementazione delle regole in discorso – confermano tuttavia una circostanza di fondo: le finalità della sicurezza – come quelle connesse ai diversi volti del lavoro – richiedono sforzi più ampi, connotati dalla sinergia politica e istituzionale, sociale ed economica, culturale e ideale; sforzi capaci di autentica corresponsabilità tra datori e lavoratori. 

In tal senso, restano preziose alcune indicazioni della Dottrina sociale della Chiesa, allorché, sull’argomento, è promosso il recupero della dimensione soggettiva del lavoro anche attraverso una visione antropocentrica. Ciò, d’altronde, trova piena corrispondenza con quella esigenza – conforme al modello costituzionale e a quelle previsioni scolpite nella prima parte della nostra Carta – di tenere al centro la persona umana: la dignità della persona umana, secondo la concezione personalistica del lavoro; e per farlo, occorrerebbe investire, in modo organico, su diversi ambiti: l’educazione dei cittadini alla cultura del lavoro sicuro e dignitoso; gli investimenti nella formazione professionale; il potenziamento delle attività ispettive e di controllo.

Si tratta di un processo certo ambizioso, e che si proietta nel lungo periodo: ma che si rende necessario, oggi più che mai, al recupero di quella dimensione costituzionale del lavoro, di cui tanti, forse troppi volti, sono ancora privi di adeguata tutela.

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