Tra i tanti bonus che imperversano nella vita degli italiani – alcuni quasi totalmente sconosciuti –, quello che aiuta le famiglie a pagare l’asilo nido è tra i più attesi e “giusti”. E in questi tempi di feroce denatalità, assai necessario.
Non è il caso qui di spiegare tutta l’articolata normativa, che ha appunto un paio di difetti: anzitutto funzionano i bonus “chiari” e semplici (e questo…); poi la modulazione degli aiuti in base all’Isee rischia di essere fortemente discriminante. A questo bonus, che può arrivare a 3mila euro annui (insomma 250 euro al mese), si assommano gli eventuali aiuti economici decisi dalle amministrazioni pubbliche locali, Comuni in primis. E non mancano casi di sostegno economico tramite welfare aziendale.
Si sappia solo che una coppia di genitori che lavorano, solitamente si trova di fronte a rette mensili da pagare che variano dai 500 ai 600 euro al mese. Se il nido è poi privato (come spesso accade per mancanza di alternative pubbliche) ed è situato in una grande città, 600 euro al mese non bastano proprio.
È qui che s’interseca una notizia arrivata fresca in queste ultime ore: nel 2022 sono state quasi 45mila le dimissioni di madri lavoratrici convalidate dall’Ispettorato del lavoro. Si fanno quattro calcoli, si ragiona sui tempi e il funzionamento della famiglia, e sulle esigenze del figlio, si trae la conclusione: lettera di dimissioni.
Tra l’altro non tutti trovano un posto nell’asilo nido, non tutti riescono ad affrontare simili rette, non tutti godono di una rete familiare in grado di dare una mano.
Morale della favola, una diaspora che acuisce la generale difficoltà a trovare personale lavorativo soprattutto nelle regioni del Nord. A questa situazione se ne assomma un’altra: lo smart working che era diventato imperativo in tempi di pandemia – e poi strumento impropriamente utilizzato per conciliare lavoro con carichi familiari – sta ormai dissolvendosi.
Al 31 marzo si concluderanno le esperienze attivate nella pubblica amministrazione, e stiamo parlando di centinaia di migliaia di lavoratrici coinvolte (perché sono quasi tutte donne).
Tutto ciò per svelare una questione non di poco conto: la denatalità è anche frutto delle difficoltà che persistono nella conciliazione tra tempi di lavoro ed esigenze familiari. Uno degli aspetti più trascurati della rarefazione di nascite è anche il più macroscopico: quasi sempre entrambi i possibili genitori sono coinvolti nel mondo del lavoro, anzitutto per mere esigenze di sopravvivenza. E diventa assai problematico uscire di casa da mattina a sera, con figli da allevare, se non vi sono aiuti né dai servizi pubblici, né dalla fiscalità, né dalla rete familiare.
La controprova? Di figli se ne fanno uno. Poi basta.
Nicola Salvagnin
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