Padre Gigi Lamberti, l’apostolato della vita nascosta

Il 14 settembre 2009, nella chiesa parrocchiale di San Sisto a Pagani, padre Gigi Lamberti ha fatto la professione pubblica per cominciare a vivere la vita eremitica. È stato per un lungo periodo a Corbara, presso l’eremo di Sant’Erasmo. Adesso è ospite presso la struttura di San Gioacchino a Nocera Inferiore.
La Chiesa di San Gioacchino, chi arriva per le Confessioni trova Gesù Eucaristia sulla mensa

Padre Gigi, possibile affermare che vivere da eremita è una seconda chiamata e in che relazione essa si pone con la prima, quella al sacerdozio?

In foto padre Gigi Lamberti

«Una cosa è vivere “da eremita”, altro è vivere “la vita eremitica”. La vocazione è l’iniziativa di Dio Padre nella nostra vita e quando ti diventa più chiara sperimenti la serena gioia e la libertà dei figli di Dio.

La vocazione, ogni vocazione, è sempre un desiderio seminato da Dio Padre in colui che Egli chiama. Più che una seconda chiamata è la stessa chiamata compresa meglio. C’è una continuità nel dedicarsi al servizio di Dio e del prossimo ma ora in una modalità diversa: nel silenzio della solitudine, nella continua preghiera e penitenza.  È quanto Madre Chiesa chiede ad un eremita ed è quanto Madre Chiesa si aspetta da un eremita, ed è quanto ogni giorno mi impegno a diventare.

In tal senso da quando ho fatto la professione pubblica per cominciare a vivere la vita eremitica  (era il 14 settembre 2009, nella chiesa parrocchiale di San Sisto a Pagani) ho cominciato a vivere il presbiterato secondo questo specifico carisma ecclesiale».

Come e quando hai compreso che il Signore ti chiamava a questa speciale vocazione?

«La risposta a questa domanda non è semplice. Fu provvidenziale – ogni coincidenza è sempre una premura della Provvidenza – l’incontro con un eremita diocesano: padre Luis, veniva da Fatima ed era di passaggio a Nocera. Più ascoltavo la sua vita più diventava chiaro in me quanto “sentivo” che mi mancava per essere nella gioia. Come quando leggi una poesia e ti accorgi che il poeta ti sta leggendo, sta interpretando quanto hai dentro. Mi accorsi che fino ad allora ero contento ma non ancora in quella “serena gioia” che dà senso al tuo vivere ed al tuo morire.

Cominciò a farsi più chiara la mia predisposizione personale. Fui aiutato dalla guida spirituale a leggere e a decodificare gli eventi, i dettagli, le sfumature. Mi sono reso conto che la via per vivere in modo fecondo la sequela era la vita eremitica. La fecondità della vita dipende dalla fedeltà alla propria vocazione».

Che vuol dire essere un eremita e qual è il servizio che svolgi nella Chiesa e per i fratelli?

«Madre Chiesa ci dice che essere un eremita vuol dire vivere “in una più rigorosa separazione dal mondo, nel silenzio della solitudine, nella continua preghiera e penitenza”. Essere eremita è cominciare ogni giorno a porsi al servizio di Gesù e del prossimo secondo questo specifico carisma ecclesiale. Il servizio che un eremita è chiamato a svolgere è quello dell’intercessione: davanti a Dio “per” il mondo. Paolo VI parlava di “apostolato della vita nascosta”.

Madre Chiesa spiega che “gli eremiti, nella profondità della loro solitudine, non solo non si sottraggono alla comunione ecclesiale, ma la servono con il loro specifico carisma contemplativo” (Vita Consecrata n. 42). Il miglior servizio che si può rendere a LUI e agli altri è quello di rimanere “connessi” al carisma; il carisma è il nostro modo di “essere nella Chiesa”.  San Charles de Foucauld mi ricorda che “se faccio il mio dovere Gesù spenderà abbondanti grazie”. Partecipo ai “ritiri” mensili del clero e prendo parte ad alcuni appuntamenti liturgici diocesani».

Dopo l’esperienza vissuta a Corbara, ti sei trasferito da poco a Nocera. Ci aiuti a comprendere l’espressione “Eremo nel cuore della città”?

«Al di là della suggestiva immagine – eremo nella città –, in questo caso significa che la struttura di San Gioacchino attualmente ospita un eremita; è l’eremita che fa l’eremo. Quando ero a Corbara, ero ospite presso la struttura della chiesa di Sant’Erasmo e, di conseguenza, c’era l’eremo di Sant’Erasmo.

So chi “non sono”. Per il tempo che sarò ospite in questa struttura la chiesa di San Gioacchino non è una chiesa parrocchiale, non è una congrega, non è una chiesa monastica o conventuale, non è un santuario.

È aperta di domenica e nelle principali festività: alle 5.30 c’è la preghiera del Rosario e alle 6.00 la Celebrazione Eucaristica. È aperta per l’Adorazione Eucaristica silenziosa e per le confessioni di sabato (tranne il Sabato Santo e i sabato di agosto) e di domenica, dalle 9.00 alle 12.00. 

La cappella all’interno dell’eremo

Ripensando a fratel Carlo Carretto, autore del libro “Il deserto nella città”, eremo nella città significa anche luogo in cui incontrare un eremita per essere aiutati a porsi in ascolto della Parola del Signore, nel comune discepolato.

“Non sono” un professionista dello Spirito.  Nelle accoglienze per l’accompagnamento spirituale cerco, con tutti i miei limiti, di essere un fratello eremita disponibile all’ascolto, provando ad aiutare a rileggere la loro storia cercando Lui proprio in quella storia, perché lì Lui c’è».

Come si svolge la tua giornata?

«È ritmata da 14 appuntamenti oranti, cominciano dalla preghiera notturna per entrare nel nuovo giorno e si concludono con la preghiera della Compieta per congedarsi dalla giornata vissuta. Attorno agli appuntamenti oranti ruotano le altre attività della giornata: accoglienze, lavoro, pulizie, preparazione dei pasti».

Quali sono i tempi e le modalità per frequentare l’eremo?

«Il tempo dedicato alle accoglienze per l’accompagnamento spirituale, previo accordo, ordinariamente è negli orari della mattinata. Le accoglienze alle donne, come suggeriscono i “maestri” di vita eremitica, avvengono in chiesa negli orari di apertura il sabato e la domenica».

Quanto sono preziosi gli spazi di solitudine e preghiera per vivere questa chiamata?

«Sono spazi vitali. Senza il silenzio della solitudine e gli appuntamenti per la sosta orante, un eremita è senza ossigeno, un pesce fuori acqua non vive».

Ti è mai capitato di sentirti solo?

«Per grazia di Dio no; Lui c’è».

Cosa può dire l’esperienza di un eremita all’uomo di oggi, che vive in un mondo sempre più interconnesso? Siamo sempre “raggiungibili”, passiamo molte ore sui social e viviamo costantemente con il cellulare in mano. Tu, invece, non usi neppure whatsapp.

«Col proprio stile di vita un eremita cerca di dire che la connessione che deve essere sempre attiva è quella con Lui, con la Parola che si è fatta carne in Gesù ed è tornata Parola nel  testo biblico. Parola che attende di essere accolta e custodita. Non uso whatsapp perché non mi occorre; la soluzione è nella vocazione: so chi non sono, whatsapp non rientra tra gli strumenti del ministero di un eremita. A me è chiesto di avere in mano naturalmente la Parola, il breviario, la corona per il rosario, il komboskini. Adopero il cellulare prioritariamente per messaggi e adopero internet per la posta e per leggere il giornale telematico: le notizie che apprendo dalla stampa telematica assieme alle storie che ascolto diventano materiale per il ministero dell’intercessione».

Antonietta Abete

Contatti

Chi desidera contattare padre Gigi Lamberti, può scrivere alla mail fratelloeremita@gmail.com

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