Una pioggia di petali e lacrime per don Enrico Smaldone

Cinquantasette anni fa, il 29 gennaio 1967, tornava in Cielo il Servo di Dio don Enrico Smaldone. La Chiesa diocesana ricorda il fondatore della Città dei Ragazzi con una solenne Celebrazione Eucaristica, presieduta da mons. Giuseppe Giudice, alle ore 19.30, ad Angri nella Cittadella della carità a lui dedicata.

La bara di don Enrico, portata a spalla dai suoi ragazzi, lascia la cappella della Città dei Ragazzi, l’opera a cui il sacerdote angrese ha dedicato la sua vita viene bruscamente interrotta il 29 gennaio del 1967.

Un’esistenza consumata al servizio degli orfani e dei bambini con difficoltà familiari. Il secondo conflitto mondiale si era concluso da pochi anni, ad Angri si contano macerie materiali e spirituali. Tanti ragazzi passano le giornate in strada, abbandonati a sé stessi. Don Enrico, classe 1914, li scorge in silenzio dalle scale della Congrega di Santa Caterina. Come Maria, custodisce tutto nel cuore.

Anno 1949. Don Enrico ha 34 anni ed è sacerdote da 8 (era stato ordinato il 13 luglio 1941). Il 6 gennaio va al cinema insieme ai suoi esploratori. Sullo schermo le immagini del film “Gli uomini della Città dei Ragazzi” raccontano la storia di padre Flanagan, un sacerdote che nel Nebraska (Stati Uniti) aveva fondato una casa per ragazzi a rischio. Don Enrico ha un sussulto, nel suo cuore matura l’idea di costruire anche ad Angri una Città dei Ragazzi.

Quello che accade nei mesi successivi offre una fotografia del temperamento del giovane prete. Il 13 febbraio – appena un mese dopo-un corteo in festa arriva nel fondo di 5.000 metri quadrati donato dal dott. Giuseppe Adinolfi e fissa un cartello con la scritta “Qui sorge La Città dei Ragazzi”.

Il 10 marzo stila il “Metodo pedagogico” da adottare nella Città. Passano altri 4 mesi e il 10 luglio vi è la posa della prima pietra. Il 4 marzo 1951, insieme a tre bambini si trasferisce dalla casa paterna alla casetta in blocchi, con il tetto di tegole, che gli operai avevano costruito per custodire gli attrezzi.

Più volte negli anni a venire la ditta Lamaro sospende i lavori per mancanza di fondi. Ogni volta don Enrico, con geniale fantasia e una fiducia sconfinata nella Provvidenza, inventa soluzioni per raccogliere fondi. Grazie all’aiuto dell’amico Federico Russo, redattore in America del Progresso Italo Americano, nascono i comitati a favore della Città. I camionisti di Angri si recano sul Vesuvio a caricare pietre per la struttura. Gli operai delle Manifatture Cotoniere Meridionali rinunciano due volte al mese alla mensa aziendale a favore dell’opera di don Enrico. Anche l’ELVEA è coinvolta in questa gara di solidarietà. Il sacerdote riesce ad ottenere il primo piano, incompleto perché mancano gli infissi, e vi si trasferisce con i ragazzi.

Ad agostodello stesso anno nellaCittà è impiantata una falegnameria. Sono i ragazzi a realizzare gli infissi per la struttura. Il 25 dicembre 1953 la Città ospita già decine di ragazzi che a Natale ricevono la visita del vescovo Fortunato Zoppas. Tra il 1955 e il 1966 è impiantata anche un’officina meccanica. Al primo piano dell’edificio si aggiunge un secondo e un terzo, un dormitorio, una cucina, un refettorio e una chiesa. Anche il sogno del campo sportivo diventa realtà.

La morte prematura. Il 1966 volge al termine, tanti i progetti realizzati da quel lontano 1949. Da qualche mese don Enrico non si sente bene, è stanco, non ha più la forza di celebrare neppure la Messa. Fa i conti con una febbre alta che non gli dà tregua. Al suo capezzale si alternano diversi medici che prescrivono esami del sangue e delle urine. Viene diagnosticata un’epatite. Ma qualcosa non convince il dott. Giuseppe Adinolfi, giunto da Roma al capezzale del sacerdote. Il medico, che ha donato il fondo alla Città, fa ripetere gli esami del sangue.

La mattina del 28 gennaio,Armando Oliviero, il “sindaco” della Città, ritira il referto. Una diagnosi terribile spazza via ogni briciolo di speranza: don Enrico è affetto da leucemia fulminante. «Ci sembra di impazzire dal dolore». Poche parole fotografano lo sgomento che cala sulla Città.

Chiede di ricevere i sacramenti. La sera don Pierino Selvino cerca di rincuorare l’amico: «Non preoccuparti, la Madonna ti farà la grazia!». La risposta del sacerdote è una perla spirituale: «Morire non è forse una grazia?». Quella notte nessuno chiude occhio. Don Enrico si confessa, è lucido, partecipa alla preghiera. Alle due di notte, il fratello Umberto fa chiamare la signorina Agnese Adinolfi e i ragazzi. Poi l’ultimo gesto: i ragazzi si inginocchiano accanto al suo letto e il sacerdote li benedice. Fiumi di lacrime scavano i volti. Segue una calma apparente, don Enrico riposa tranquillo per un quarto d’ora, poi sorella morte, tanto attesa e desiderata, alle 4 del mattino, lo accoglie tra le sue braccia.

La notizia fa il giro della città, un silenzio impressionante avvolge Angri. Si odono solo i rintocchi delle campane della sua Santa Caterina che si sovrappongono al lamento della sirena delle Manifatture Cotoniere Meridionali. I funerali presieduti da mons. Alfredo Vozzi, Amministratore Apostolico di Nocera dei Pagani, sono celebrati alle ore 15.30 del pomeriggio del 29 gennaio 1967. Don Enrico ha appena 52 anni. Sulla bara portata a spalla dai suoi ragazzi e dai suoi “esploratori”, una pioggia di petali e lacrime.

Lunedì 29 gennaio, in occasione del 57esimo anniversario della morte, la Chiesa diocesana ricorda il fondatore della Città dei Ragazzi con una solenne Celebrazione Eucaristica, presieduta da mons. Giuseppe Giudice e concelebrata dal postulatore don Francesco Rivieccio, alle ore 19.30, ad Angri nella Cittadella della carità a lui dedicata.

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