Non è semplice riportare in poche righe il profilo di mons. Alfonso Raiola, ultimo abate della Collegiata di San Giovanni Battista in Angri, dono di Dio alla Chiesa dell’Agro e alla nostra comunità parrocchiale, di cui è stato padre per circa 60 anni.
È da poco finito il primo conflitto mondiale e nelle nostre terre, oltre a ricostruire case, è necessario soprattutto ridare speranza a chi deve continuare a vivere in attesa di un fratello, di un padre, di un figlio, di un marito che tarda a fare ritorno dalla Grande Guerra. La sobrietà e l’attaccamento a valori senza tempo quali l’amore per Dio, la preghiera, la famiglia, la patria, il lavoro, caratterizzano la quotidianità delle case angresi. In una di queste viene alla luce, in un rigido 12 dicembre 1919, il piccolo Alfonso Maria Raiola, che sarà battezzato il 19 dello stesso mese; da allora questa diventerà la data del suo compleanno.
Era solo un bambino quando, incontrando il parroco della chiesa della SS. Annunziata in Angri, indicandolo con molta determinazione, dice: «Da grande diventerò come lui!». Parole profetiche! Il piccolo Alfonso, che all’età di 6 anni ha già ricevuto la Prima Comunione, ha tre fratelli e un’unica sorella, Anna, che riversa su di lui, il piccolo di casa, tutte le sue amorevoli cure. Sarà però zia Teresina, proprietaria di un avviato negozio di tessuti, a prendersi cura della sua educazione e istruzione.
Terminata la terza elementare, frequentata presso la scuola pubblica, viene iscritto all’Istituto dei salesiani a Castellammare di Stabia; qui, completato il ciclo delle elementari e il ginnasio, si permea di quella formazione salesiana la cui peculiarità è l’apertura missionaria e l’attenzione agli ultimi. Zia Teresina fa fronte a tutte le spese con spirito di sacrificio, ben consapevole che le sue rinunce non saranno vane.
Alfonso, all’età di 9 anni, riceve il sacramento della Cresima dal vescovo mons. Giuseppe Romeo, che dirà di lui: «Lo faremo abate della Collegiata di San Giovanni Battista!». Terminato il ginnasio, sogna di partire alla volta del Giappone come missionario: ama i fiori e, secondo lui, l’Oriente è la terra da evangelizzare. Il suo, però, resta solo un sogno, poiché la famiglia lo convince ad entrare in seminario.
Ordinato sacerdote il 23 giugno 1943, sceglie di prestare il suo servizio nella chiesa di San Benedetto, cuore del casale Ardinghi, dove per dieci intensi anni vive con gli operai e i contadini, condividendo con loro le lotte sociali e civili per ottenere miglioramenti salariali, l’istruzione, oltre che l’affermazione dei più elementari diritti della persona.
Il 4 luglio 1953 il giovane don Alfonso, stimato e amato dai fedeli del borgo Ardinghi, viene nominato, a soli 32 anni, canonico della Collegiata di San Giovanni Battista, dov’erano presenti ben venti sacerdoti anziani. Il passaggio di don Alfonso dalla chiesa di San Benedetto alla Collegiata è accompagnato quasi da una sollevazione popolare ed egli è costretto a raggiungere la nuova sede a notte fonda. È l’inizio di un’intensa attività di riordino della vita pastorale: con acume il giovane sacerdote intuisce lo spirito del Concilio Vaticano II, che negli anni ‘60 avrà inizio e compimento.
Il 29 luglio 1962 viene nominato abate della Collegiata. La pagellina ricordo dell’evento riporta l’immagine di Cristo Buon Pastore e le parole «Io sono il buon pastore e il pastore dà la vita per le sue pecore». Parole che realmente incarnano il suo stile di vita, coerente e fedele al Vangelo, sempre con il breviario e la corona del Rosario fra le mani e lo sguardo rivolto al cielo.
Gli anni ‘70 sono gli anni della contestazione giovanile. Il soffio della crisi investe la Chiesa: c’è disorientamento, senso di smarrimento, ma dalle rovine, con il coraggio e la profonda ansia che contraddistinguono la sua attività pastorale, sa rifondare la comunità attraverso il Movimento FAC (Fraterno Aiuto Cristiano).
Sarà questo movimento, nato da un’intuizione del sacerdote salesiano don Paolo Arnaboldi, grande amico di don Alfonso, a rinvigorire la parrocchia. Catechesi, liturgia, carità: la parrocchia è una fibrillazione di incontri, di riflessioni, di esperienze.
Riprende vita l’associazionismo cattolico, si consolidano i gruppi: la Passio Catholica, che predilige i fratelli ammalati, il gruppo missionario, l’AVULS, la CARITAS e altri ancora. Alla fine degli anni ‘70 è il momento delle prime esperienze di Comunità Neocatecumenali: catechisti itineranti rilanciano la sfida del Vangelo vissuto radicalmente, e la comunità si amplia. Non più i lontani e i vicini, ma, in un processo osmotico, i Centri di ascolto cercano di raggiungere tutti.
Il terremoto del 1980 non frena lo slancio missionario che l’abate ha impresso al suo programma pastorale, anzi è la carità a diventare risposta concreta alla precarietà e ai disagi legati al tragico evento. Sono gli anni, poi, dell’apertura al clero diocesano, del dialogo con la Caritas tedesca e così via, fino ai giorni nostri, con un apostolato instancabile attraverso l’accoglienza e la direzione spirituale di tante generazioni angresi segnate anche soltanto da una sua parola o da un suo gesto paterno.
Il 2 dicembre 2006 a mons. Alfonso Raiola succede come parroco della Collegiata mons. Vincenzo Leopoldo. Don Alfonso continua a risiedere nella casa canonica della parrocchia, dedicandosi alle confessioni e alla direzione spirituale di molti fedeli.
Segue il Cammino Neocatecumenale, fino a quel 25 aprile 2014, quando, salutato dalle lacrime di un’intera città, è salito al Cielo. Nove mesi prima aveva festeggiato i 70 anni di sacerdozio, circondato dall’affetto dei suoi “figli”.
Anna Somma
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