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Buona agricoltura

Di fronte a quello che sembra il dilagare della criminalità organizzata nell’agroalimentare, esistono e crescono gli esempi di quanto si può fare per contrastarla con efficacia.
Foto di Hans da Pixabay

Malavita miliardaria anche nei campi e nell’agroalimentare in generale. Lo si sa, e si fa di tutto per sradicarla davvero. Anche se pare difficile. E anche se non mancano i nuovi esempi di quanto la criminalità sia diffusa lungo tutta la filiera alimentare nazionale.

Eppure si può. Eppure, c’è chi è, nel vero senso della parola, sceso in campo per contrastare con i fatti mafia, camorra, ‘ndrangheta e quant’altro. Ed è importante, allora raccontarne alcuni di questi esempi.

È il caso di Libera Terra, una realtà imprenditoriale nata sull’esempio dell’associazione Libera circa 20 anni fa, che adesso, nella Piana di Catania, gestisce direttamente circa 40 ettari di agrumi in Sicilia una volta appartenuti alla mafia. A

grumi buoni e coltivati con tecniche biologiche, che finiscono un po’ in tutta Italia e anche all’estero. E portano l’esempio di quello che si può fare. A partire dal nome che è stato posto alla cooperativa: quello del commissario Beppe Montana, ucciso dalla mafia nel 1985.

Ma questa coop non è certo la sola. Sempre Libera, infatti, ha dato vita complessivamente a nove cooperative sociali e un consorzio cooperativo che tutti insieme gestiscono strutture agricole e terreni confiscati alla malavita in Campania, Sicilia, Calabria, Puglia. Strutture dalle quali arrivano produzioni importante della cultura mediterranea come la pasta, il pomodoro, l’olio, il vino e, appunto, gli agrumi.

Un’attività che adesso comprendere oltre un centinaio di prodotti, tra cui quelli ortofrutticoli, le arance dalla Piana di Catania e quelle della Piana di Gioia Tauro (arance bionde e clementine) e poi anche, solo per citarne altri, i finocchi di Isola di Capo Rizzuto e altra frutta e verdura biologica di stagione, disponibile solo durante alcuni mesi dell’anno e in quantità limitate.

E non è tutto. Perché davanti alla criminalità, anche nell’agroalimentare, c’è anche altro.

Solo per raccontarne un’altra di queste iniziative, e per capirne l’efficacia, basta pensare al Progetto Policoro voluto dalla Chiesa italiana che, in tutta Italia, cerca di dare risposte concrete alla disoccupazione giovanile, attivando iniziative di formazione a una nuova cultura del lavoro, promuovendo e sostenendo l’imprenditorialità giovanile in un’ottica di sussidiarietà, solidarietà e legalità, secondo i principi della Dottrina Sociale della Chiesa. Un’iniziativa che ha forti legami anche con l’agroalimentare.

Comuni a Libera Terra e al Progetto Policoro sono, a ben vedere, gli obiettivi.

Perché il traguardo da raggiungere è uno solo: ridare dignità alle persone e ai territori, anche quelli più difficili, attraverso la formazione e l’informazione oltre che il recupero dei beni confiscati alle mafie. Un percorso che, guardando più strettamente all’agroalimentare, passa per la creazione di imprese e cooperative sane, in grado di dare lavoro e promuovere un indotto altrettanto sano e importante. E tutto con metodi nel pieno rispetto dell’ambiente e della persona.

Stando a Coldiretti, se si pensa solo alla contraffazione e alla falsificazione dei prodotti alimentari italiani il giro d’affari ha ormai superato i 120 miliardi di euro, quasi il doppio delle esportazioni, per un valore di trecentomila posti di lavoro. Senza dire del resto delle azioni criminali che toccano il comparto. Eppure, di fronte alla malavita che pare – ed è una falsa impressione -, dilagare dai campi alle tavole degli italiani passando per ogni fase della filiera, le risposte non mancano. E sono risposte forti e importanti.


Andrea Zaghi

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