Vanità di vanità

La vera ricchezza non consiste nell’accumulare “tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano” (Mt 6, 19). Per avere un tesoro in cielo bisogna spendersi nella costruzione dell’amore vicendevole.

«Sei felice, sei, dei piaceri tuoi, godendo solo d’argento e d’oro, alla fine che ti resterà? Vanità di vanità». Così cantava Spiridione, un personaggio di fantasia, tra i protagonisti del film “State buoni se potete” che il regista Luigi Magni dedicò, nel 1983, a san Filippo Neri (un Johnny Dorelli perfetto nel ruolo).

Ad interpretare il menestrello-saltimbanco, che cantava e ballava per dar diletto ai bambini accolti nel primo oratorio, Angelo Branduardi, che di quel lungometraggio curò anche la colonna sonora. Ebbene: poche sono le canzoni più adatte a comprendere il senso di novembre, il mese dei morti.

E sì che la fine dell’esistenza terrena fa paura un po’ a tutti, finanche ai più temerari, e forse ancor più timore genera la malattia, ma in fondo la morte è un viaggio e, come tale, va trattata. Un viaggio senza bagagli. Vuoi o non vuoi devi lasciarli lì, sulla banchina della stazione. Più pensi che il contenuto dei bagagli ti sia indispensabile e più ti sarà doloroso il partire.

«Tutto vanità, solo vanità. Vivete con gioia e semplicità. State buoni se potete, tutto il resto è vanità», intonava ancora Branduardi. Nel libro di Qoèlet, figlio di Davide, re a Gerusalemme, leggiamo che “tutto è vanità” nonché la domanda: «Quale guadagno viene all’uomo per tutta la fatica con cui si affanna sotto il sole?». Per Qoèlet «nessun ricordo resta degli antichi, ma neppure di coloro che saranno si conserverà memoria presso quelli che verranno in seguito».

Non resta nulla, dunque, nemmeno la memoria di quel che si è stati, nemmeno il nome. Al massimo, per esempio, qualche grande condottiero potrà avere il suo nome sui testi di storia, ma è un onore trascurabile.

C’è però un bagaglio che, pur invisibile, porteremo nell’Altrove.

È una valigia, che pur non pesando, è piena zeppa del bene fatto e dell’amore dato. Il nostro nome, forse, lo ricorderanno in pochi e, col tempo, ahi-noi, nessuno, ma non è certamente ignoto a Dio. È un Padre e non dimentica i suoi figli.

A proposito di bene dato, novembre non è solo il mese dedicato ai defunti, ma anche alla celebrazione della Giornata mondiale dei poveri, giunta, il 13 novembre, alla sua sesta edizione.

Nel suo consueto Messaggio per l’occasione, papa Francesco ha scritto: «C’è un paradosso che oggi come nel passato è difficile da accettare, perché si scontra con la logica umana: c’è una povertà che rende ricchi. Richiamando la “grazia” di Gesù Cristo, Paolo vuole confermare quello che Lui stesso ha predicato, cioè che la vera ricchezza non consiste nell’accumulare “tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano” (Mt 6, 19), ma piuttosto nell’amore vicendevole che ci fa portare i pesi gli uni degli altri così che nessuno sia abbandonato o escluso». 

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