Il Recovery Fund non è un regalo di Babbo Natale. Almeno non tutto, una fetta cospicua lo è, l’altra è un prestito e come tale dovrà essere restituito. “Il Punto” di novembre è affidato a Nicola Salvagnin del Sir.
*di Nicola Salvagnin
Sta circolando in Italia – an che in ambienti che dovrebbero ben conoscere la reale situazione – l’idea che la valanga di soldi in arrivo dall’Europa con il Fondo di recupero (o Recovery Fund) sia gratis. Un gigantesco regalo di Babbo Natale per rilanciare l’economia italiana. Sbagliato, e di grosso.
Una fetta (in realtà enorme, in tempi normali) è sì un vero regalo: si tratta di ben 81,4 miliardi di euro che ci verranno dati a fondo perduto. Per una cifra di dieci volte inferiore qualsiasi governo precedente si sarebbe leccato i baff. Ma l’Italia di oggi ha perso in soli sei mesi un decimo del proprio reddito prodotto normalmente in un anno.
Gli altri 127,4 miliardi di euro in arrivo, cifra ancor più mostruosa, sono prestiti che verranno spesi sotto l’occhiuto sguardo dell’Europa. Ripeto: soldi dati in prestito, a condizioni favorevoli, ma da restituire. Entrano direttamente nel debito pubblico del Paese più indebitato d’Europa.
Le prossime generazioni ne godranno i frutti; le prossime generazioni li dovranno restituire. È comunque un bel regalo: i mercati finanziari mai ce li avrebbero dati, se non a condizioni usurarie, come capita a chiunque sia indebitatissimo e non dia garanzie di restituzione. L’Europa ci viene incontro per rilanciarci, e mette sul tavolo una somma tale da riformare nel profondo la nostra economia in vista dei prossimi decenni.
Qui sta il punto. Se è certo che le prossime generazioni dovranno rimborsare i debiti contratti adesso e dalle generazioni precedenti, bisogna che questo flusso di denaro produca nuova ricchezza per provvedere a quelle restituzioni. Si chiamano investimenti e, come ha detto Mario Draghi, devono essere buoni, produrre frutti.
A spendere e spandere alle slot machine e all’osteria sono bravi tutti. A cambiare la struttura di un’economia – e di una pubblica amministrazione saldamente ancorata alla metà del Novecento – sono bravi solo i bravi.
*redattore a Verona Fedele,
collabora con il Sir sui temi economici