Com’è una scuola “di serie A”?

Il grande equivoco di una scuola che debba preparare al lavoro e che sia funzionale alle imprese.
Foto di Pexels da Pixabay

Una scuola di “serie A”. E chi non la vorrebbe? E un’altra domanda viene di seguito: la nostra scuola di che serie è?
Spesso si discute sull’importanza del sistema scolastico e sulla sua funzione, su come si dovrebbe affrontare il percorso di crescita delle più giovani generazioni, sul rapporto che dovrebbe esserci tra istruzione e lavoro, su rigore o “lassismo” nei confronti degli studenti.

E’ importante farlo, perché è anche questo un segnale di quanto ci appassioni la questione scolastica, che per un Paese può e deve essere uno dei focus principali guardando al futuro. Focus che chiede, naturalmente, al di là delle discussioni, politiche e investimenti all’altezza del compito.

Ma la scuola, appunto, come fa ad essere “di serie A”? Deve essere rigorosa, comportare la “fatica” e bocciare di più (chi se lo merita, immaginiamo).

Così la provocazione che viene da Maurizio Carminati, presidente di Confindustria Alto Milanese alla 78° Assemblea dell’associazione svoltasi a Legnano alla fine di novembre. Non è una boutade, ma una dichiarazione che raccoglie un sentimento diffuso e sintetizza tante critiche legate al mondo scolastico che vanno dalle promozioni bulgare alla maturità cui si affiancano risultati poco soddisfacenti ai test Invalsi. Critiche che sottolineano il gap tra istruzione e mondo del lavoro perché – è ancora Carminati a ricordarlo – “Le nostre imprese hanno disperato bisogno di personale, giovane e competente, di collaboratori capaci, svegli, formati, ma soprattutto di brave persone”. E non lo trovano.

Partiamo da qui, da questo equivoco di una scuola che debba preparare al lavoro, che sia funzionale alle imprese. Intendiamoci, non è un abbaglio di poco conto, né relegato a pochi ambienti. Piuttosto esiste da tempo ed è diffuso non solo in Italia. Ma è, appunto, un abbaglio.

Il percorso scolastico in generale non è formazione professionale, non prepara al lavoro (tranne in alcuni casi). Piuttosto – e ce lo ricorda la Costituzione – vuole far crescere uomini e cittadini. “Brave persone”, come dice Carminati. Preparate, certo ad affrontare anche percorsi lavorativi perché aperte all’apprendimento continuo, alla formazione sul campo, quella che tocca ad ogni impresa.

Per raggiungere l’obiettivo secondo Carminati bisognerebbe bocciare chi non studia. Forse è una semplificazione, ma efficace. Una scuola che boccia, selettiva, fondata sul merito: ecco la scuola di “serie A”, con insegnanti non sempre sotto esame, ma autorevoli e tutelati, in grado anche di poter “punire” senza finire sotto processo da parte dei genitori degli studenti.

Il rimando sottinteso è a una scuola che non solo non boccia (ma è vero? Le statistiche mostrano dati allarmanti soprattutto nel passaggio medie/superiori), ma soprattutto è in crisi di autorità, viene poco considerata. E il successo è inteso come una conquista faticosa, in uno scenario che potrebbe essere competitivo.

Ma davvero è così? Daniele Novara, pedagogista, spiega ad esempio che “non si educa mortificando” e delle bocciature sottolinea soprattutto le criticità. Non è l’unico. E torna a questo proposito il modello di una scuola inclusiva e centrata sulla promozione dell’allievo, su motivazione e responsabilità.

Si potrebbe scrivere a lungo, ma forse basta lasciare solo la provocazione, con un ultimo accenno: “Non sparate sulla scuola” è il titolo di un saggio appena uscito ed è anche un invito a riflettere su un bene comune – il sistema scolastico, appunto – cui non servono tanto ricette semplici (bocciare o no) ma responsabilità e impegno fattivo da parte di tutto il Paese.

Alberto Campoleoni

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