Un’integrazione complicata

I dati ci avvertono che molti giovani stranieri restano spesso intrappolati nel silenzio e nelle loro difficoltà.
Foto di Lourdes ÑiqueGrentz da Pixabay

Qual è realmente il percorso in cui si trova immerso un minore migrante, al di là del calore e dell’entusiasmo che accompagnano l’iniziale accoglienza? Quali contorni assume, ad esempio, l’adolescenza e che tipo di scelte orientano il corso di studi dei giovanissimi immigrati?

Sono domande che necessitano di serie riflessioni, perché forti sono le criticità che attendono i minori stranieri nel momento in cui iniziano a confrontarsi in maniera profonda e non “protetta” con la realtà di un Paese che non è quello in cui sono venuti al mondo. In maniera particolare le difficoltà maggiori emergono proprio dopo la pubertà, quando il corpo cambia e nella sfera interiore – per ragioni fisiologiche – si manifestano sentimenti tumultuosi e atteggiamenti contraddittori.

Il centro di tutte le ambivalenze e i conflitti è naturalmente il corpo, che nell’adolescente migrante è anche il luogo in cui si coagulano le tracce dell’esperienza della perdita della casa e del viaggio, insomma dello sradicamento.

Di per sé l’esperienza della migrazione viene spesso assimilata a una vera e propria “rinascita” che segue la cesura del distacco e in cui si sperimenta un senso di forte disorientamento, una paura primordiale e una condizione di vulnerabilità estrema. Sensazioni importanti che nell’età adolescenziale si sommano ad altri nodi, come lo scontro intergenerazionale e la forte critica nei confronti delle sovrastrutture e delle regole sociali.

In alcuni casi, soprattutto quando i ragazzi provengono da culture particolarmente rigide e normative rispetto ai comportamenti, l’adolescenza può diventare una vera e propria bomba a orologeria e determinare anche un rifiuto nei confronti della famiglia d’origine accompagnato a una sorta di straniamento verso la comunità di nuova adozione.

Possono venire a determinarsi quindi pericolose “dissonanze”, i cui effetti rischiano di essere molto deleteri, come l’allontanamento dalla scuola, l’abbandono degli studi, il disagio e la marginalizzazione.

Anche la situazione dei minori adolescenti provenienti dall’Ucraina e ospiti nel nostro Paese risulta essere particolarmente critica, non solo per le ragioni sopraelencate, ma anche a causa delle tracce traumatiche che essi conservano rispetto agli eventi della guerra vissuti in patria. I drammi sperimentati, si sommano poi alle sconfortanti notizie e immagini che tramite i media li raggiungono anche nel nostro Paese mostrando loro scenari di distruzione e di disastro in luoghi un tempo familiari.

La scuola e il territorio provano a farsi promotori di progetti e iniziative di integrazione, ma raramente riescono a trasformarsi luoghi “emotivi” oltre che fisici. I dati ci avvertono che molti giovani stranieri restano spesso intrappolati nel silenzio e nelle loro difficoltà. I corsi di alfabetizzazione linguistica non sono sufficienti all’integrazione, gli sportelli psicologici forniscono un ascolto che spesso avrebbe bisogno di strutturarsi in “terapia”, per quest’ultima però di fatto mancano le risorse economiche.

Per realizzare una situazione di equilibrio realmente accogliente nel nuovo contesto occorrerebbero “mediatori” culturali, figure ormai sempre più rare. La mediazione viene lasciata all’iniziativa personale, al buon cuore e alla sensibilità delle persone, ma non può essere adeguata neppure quando guidata dalle migliori intenzioni.

Rispetto all’identità etnica di questi giovani e giovanissimi, comunque da valorizzare e preservare, si assiste per lo più a processi di assimilazione o reazione, più raramente gli interventi avviati dalla comunità e dal territorio si trasformano in vere e proprie azioni inclusive. Lo spazio destinato al confronto e all’approfondimento nei confronti della cultura dell’“altro” è totalmente insufficiente e non consente un vero e proprio “scambio”, riesce nella maggior parte dei casi a realizzare soltanto una sorta di goffo e inadeguato “assorbimento” reciproco.

La vera integrazione dovrebbe essere un processo multidimensionale e dovrebbe concretizzarsi in maniera circolare, coinvolgendo l’intera comunità, per generare buoni risultati e per dare respiro al futuro di tutti.


Silvia Rossetti

Total
0
Shares
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Related Posts