Suore Serve di Maria Addolorata: la storia

Insieme inaugura un nuovo spazio grazie alla collaborazione con le Suore Serve di Maria Addolorata. Ogni mese conosciamo meglio la figura di Madre Maria Consiglia Addatis, fondatrice della Congregazione femminile, che nel 2022 celebrerà i 150 anni di fondazione. 

La vita della nostra protagonista si dipana nella seconda metà dell’800: dal 1845 al 1900. È un’epoca densa di fermenti e trasformazioni. Il 1845 fu salutato con grande gioia dalla giovane famiglia Addatis-Burdò. Era il 5 gennaio, vigilia dell’Epifania: Gesù si manifestò attraverso una nuova vita, portò in dono una bella bambina che chiamarono Emilia Pasqualina.

Fu battezzata nella Cattedrale di Napoli, in quello stesso giorno. In quella medesima chiesa, un anno prima, il 15 febbraio 1844, si erano uniti in matrimonio Maria Luisa Gaetana Giuseppa Burdò e Paolo Addatis.

L’infanzia in via Anticaglia

Emilia Pasqualina trascorse i primi anni dell’infanzia in un clima familiare sereno e accogliente. La professione di farmacista del papà permetteva una vita decorosa, anche se i tempi erano calamitosi per la precaria situazione politica e la città era spesso colpita da epidemie.

Paolo, uomo pio e generoso, così lo ricorda Emilia Pasqualina nel suo Diario, si prodigò molto durante il colera del 1848, curando gratuitamente gli ammalati e procurando loro le medicine. Dopo circa due anni dalla nascita di Emilia Pasqualina, la famiglia Addatis fu allietata dall’arrivo di Matilde. Ma la piccola morì il 24 marzo 1848, ad appena un anno e due mesi. Nello stesso anno, l’8 maggio, venne a mancare anche Paolo all’età di 34 anni.

Emilia e la mamma furono costrette a lasciare la casa di via Anticaglia. Trovarono un alloggio buio e malsano in via Sant’Epifanio Vecchio. La sistemazione fece precipitare le precarie condizioni di salute di Maria Luisa, che morì il 14 ottobre 1849 ad appena 26 anni.

Emilia Pasqualina resta orfana di genitori

Emilia Pasqualina rimase sola. Dopo un anno di passaggi da una casa all’altra, la nonna Serafina e le quattro zie, tutte nubili, decisero di accoglierla nella loro abitazione. Trovò la stabilità, ma doveva collaborare nel lavoro nonostante la giovane età. Le zie si impegnarono a mandarla a scuola, ma lei la abbandonò presto. Questi anni affinarono il suo spirito rendendolo più sensibile verso chi soffriva ed era solo. Furono la palestra dove imparò a comprendere il dolore e a fidarsi solamente di Dio e della Vergine Madre.

Un giorno, stanca di questo desolante abbandono, diventò più forte nella fiducia in Dio e – racconta nel Diario – cadde davanti ad un’immagine di Maria: «siimi tu madre, o Regina dei dolori, poiché non ho la mamma mia, e io sarò l’occhio del cieco, il piede dello zoppo, la consolatrice di quanti soffrono» disse.

Chiese alla Madonna di farle da mamma e le promise che da grande sarebbe stata lei a prendersi cura di chi una mamma non ce l’aveva. In questa invocazione non c’è solo una promessa, ma vi è anche delineato il suo futuro impegno: dedicarsi a chi non ha protezione ed è solo, offrendo una casa, una famiglia e un avvenire.

(Tratto da “Una donna di garbo plasmata dallo Spirito” a cura di suor Agnese Pignataro)

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