I ragazzi del Bambino Gesù

Nel 2017 il Premio è stato assegnato alla trasmissione I Ragazzi del Bambino Gesù. Nella foto Anna Aprea consegna il premio a Davide Acampora di Stand by Me e Alessandro Iapino

Il Bambino Gesù di Roma compie 150 anni. Nel 2017 Insieme ha consegnato il Premio Euanghelion all’eccellenza ospedaliera pediatrica, che aprì le porte dei suoi reparti alle telecamere della Stand by me per realizzare il docu-reality “I ragazzi del Bambino Gesù”. Una straordinaria testimonianza della professionalità e dell’umanità degli eroi che silenziosamente, ogni giorno, si occupano di piccoli pazienti da salvare.

di Salvatore D’Angelo

Dieci storie, dieci famiglie, dieci mondi raccontati nell’unico grande contesto dell’ospedale pediatrico più importante d’Europa: il Bambino Gesù di Roma. Sono questi i presupposti alla base del successo di Rai 3, ideato da Simona Ercolani e prodotto da Stand By Me, I ragazzi del Bambino Gesù. Roberto, Klizia, Annachiara, Flavio, Giulia, Caterina, Simone, Sabrina, Sara e Alessia hanno raccontato del loro improvviso incontro con la sofferenza. Loro, insieme alle famiglie e all’equipe medica, hanno mostrato che si può vivere con la quotidianità della malattia, caratterizzata da momenti di paura, decisioni importanti, periodi di solitudine e la gioia della guarigione. In dieci puntate si è comunicata la speranza e la fiducia nel nostro tempo, come chiede papa Francesco: «Offrire narrazioni contrassegnate dalla logica della buona notizia non significa ignorare la realtà della sofferenza – ha affermato Mariella Enoc, presidente del Bambino Gesù –, ma raccontarla sapendo suscitare “cuori capaci di commuoversi, volti capaci di non abbattersi, mani pronte a costruire”. Speriamo e crediamo di esserci riusciti».

Se entri al Bambino Gesù, tu non sei la tua malattia, tu sei una persona che ha una malattia.

Qual è stata la reazione dei protagonisti davanti alla proposta di partecipare a un programma televisivo?

La peculiarità di questo programma è che non abbiamo fatto nessun casting. È stata proposta una collaborazione a medici e pazienti (e alle loro famiglie) e poi abbiamo raccontato chi ha accettato. L’ospedale ha voluto che i ragazzi e le famiglie assistessero alla puntata con neuropsichiatri e psicologi. Una ragazza ci ha detto: «Grazie perché mi avete dato la certezza del vissuto, me lo state restituendo, stare in ospedale fa perdere il senso del tempo».

Hanno trovato difficoltà a raccontarsi?

All’inizio sicuramente c’è stata un po’ di timidezza, ma poi i ragazzi sono stati molto generosi nel raccontarsi. Dopo qualche giorno, si è creato un ottimo equilibrio tra noi e loro ed è nato un tale rapporto di fiducia e presenza quotidiana, che le cose venivano semplicemente fatte insieme. Eravamo insieme in ogni momento. Con le interviste poi abbiamo aggiunto solo un altro spazio totalmente a disposizione dei loro pensieri.

Un tema controverso. Si rischiava di fare “tv delle lacrime e del dolore”, come lo avete evitato?

Abbiamo voluto raccontare l’autenticità della malattia, entrare in punta di piedi con le telecamere dentro una realtà fatta di sofferenza ma anche di grande speranza. Una speranza costruita sulla cura e sulla professionalità. Abbiamo lavorato in concerto con l’ospedale cercando di essere il meno invasivi possibile, seguendo e fotografando ciò che davvero accade nel percorso di cura. Uno straordinario lavoro di ascolto e un gioco di squadra unico.

Avete mostrato il volto di una sanità umana. L’apporto dei medici è stato importante. Come trasferire il loro esempio e la loro passione?

Se entri al Bambino Gesù, tu non sei la tua malattia, tu sei una persona che ha una malattia, che ha un passato, una vita, dei sogni e un futuro. Quello che noi abbiamo provato a restituire non è solo il cordone che si stringe intorno al bambino malato da parte della sua famiglia e dei suoi parenti, ma proprio la solidarietà umana che scatta tra medici, infermieri, personale volontario e famiglie. Quando si sta male si pensa di essere soli, al Bambino Gesù questo è ribaltato. Non si è rifiutati, si è inclusi.

Cosa vi ha emozionato di più?

La cosa che più ci ha commosso è questa solidarietà fra pazienti. Una solidarietà straordinaria che abbiamo provato a trasferire al pubblico. A coronamento di tutto c’è stato l’incontro con papa Francesco. Una grandissima emozione per tutti noi, abbiamo potuto raccontargli ciò che abbiamo fatto e lo abbiamo fatto insieme ai ragazzi.

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