Scuola inclusiva, la grande sfida

La scuola italiana è autenticamente inclusiva? Di sicuro si sforza di esserlo, ma per le famiglie con figli con disabilità sono tanti gli ostacoli, come ci raccontano le mamme di Giovanni Paolo, di Angri e Mattia, di San Valentino Torio.
Giovanni Paolo con i genitori Anna e Salvatore

L’istruzione di qualità è il cuore pulsante di ogni società. Per dirla con le parole di Nelson Mandela “l’istruzione e la formazione sono le armi più potenti per cambiare il mondo”.

Non per tutti, però, le sfide sono le stesse e non sempre si parte dalle stesse possibilità.

Per questo la scuola è un elemento cruciale per sostenere bambini e ragazzi con disabilità nel loro percorso di crescita e formazione ed è necessario che sia in grado di sostenere ogni studente, indipendentemente dalle sfide che possa affrontare, affinché abbia accesso allo studio in maniera egualitaria e paritaria tra tutti.

In questo contesto si inserisce la figura dell’insegnante di sostegno, volta a promuovere nell’alunno/studente diversamente abile la conquista dell’autonomia personale e sociale, ma sempre nella classe e con la classe. L’insegnante di sostegno, infatti, è prima di tutto un insegnante. Un’affermazione, che sembra banale, ma che non deve essere mai data per scontata.

Troppo spesso si vede ancora oggi l’insegnante di sostegno relegato in ruoli assistenziali, pietisticamente materni, o quale strumento di esclusione dell’alunno dalle normali attività scolastiche, spesso con la complicità dei docenti curricolari che lo vedono come un insegnante “incaricato” dell’alunno con disabilità, quasi un insegnante di “serie B”.

L’insegnante di sostegno, invece, ed è bene ricordarlo, condivide con tutti gli altri colleghi i compiti professionali e le responsabilità sull’intera classe, in piena contitolarità con gli altri insegnanti.

In foto Mattia con mamma Maria

Perciò, non è assegnato al singolo alunno, come erroneamente si pensa, bensì ha un ruolo determinante nel processo di inclusione, in modo da creare le giuste condizioni per esperienze positive come quella di Mattia, come ci racconta Maria Vastola, la sua mamma: «Nostro figlio frequenta la quinta elementare all’Istituto Comprensivo di San Valentino Torio e fin dalla scuola materna, abbiamo scelto la strada del pieno confronto con docenti, dirigente e le altre famiglie creando così le condizioni per una serena inclusione scolastica. Purtroppo, non tutti hanno avuto la stessa fortuna di trovare dall’altro lato persone che hanno capito le nostre esigenze, ma che soprattutto hanno fatto di questo mestiere una missione».

«Altre famiglie con le quali ci interfacciamo non hanno avuto la stessa sorte – continua Maria – . Ci raccontano di insegnanti di sostegno che chiedono di andare a riprendere il bambino dopo poche ore, che non sanno gestire un momento di crisi, che isolano il bambino dai compagni per “non infastidire” gli altri. Situazioni inaccettabili come il classico “a che ora lo porta?” o “a che ora lo viene a prendere?” che vanno impedite sul nascere, dal primo momento, innanzitutto dalle famiglie. I nostri figli non sono un problema, ma bambini che richiedono il diritto all’istruzione per tutte le ore scolastiche previste e non a singhiozzo in base alla giornata più o meno dura o di gestione delle sue difficoltà».

Un’inclusione resa ancora più complicata dalla mancanza di continuità didattica, che, se è importante per qualsiasi bambino in fase di crescita, con ragazzi e bambini che hanno bisogno di un sostegno particolare, tutto si amplifica, comprese le conseguenze e le difficoltà.

Non solo si affezionano all’insegnante, ma per chi è affetto da autismo, che è molto legato alla routine, passare da persone diverse da un anno all’altro, a volte anche due nello stesso anno, è un problema. Per ognuno di questi bambini non c’è una regola o una legge scientifica su come doversi comportare. Ogni gesto, ogni segnale, va imparato caso per caso. E invece ogni volta si riparte daccapo.

«Mi dispiace dirlo – continua mamma Maria -, ma i bambini come mio figlio, per il Ministero dell’Istruzione, sono considerati merce di scarto, non vengono considerati come alunni al pari degli altri bambini e con le stesse possibilità di formazione. Un esempio, a Mattia su 30 ore settimanali, ne vengono garantite solo 25. Per il restante delle ore abbiamo provveduto ad un’educatrice esterna, con il sostegno del Piano di zona, per farlo rimanere a scuola».

Malgrado un continuo appello delle associazioni del Terzo Settore e delle famiglie dei disabili ad assicurare la continuità didattica, infatti, la percentuale di precarietà degli insegnanti di sostegno è raddoppiata, passando dal 29% del 2015 al 59% nel 2023.

Frequenta la scuola media inferiore, invece, Giovanni Paolo, studente dell’Istituto “Galvani Opromolla” di Angri. «L’inserimento nel mondo della scuola di nostro figlio – racconta mamma Anna Pisacane– è stato fin dall’inizio una grande sfida, ma anche un segno di speranza, la possibilità per noi genitori di condividere il compito educativo e la concretezza per il nostro ragazzo di aprirsi in modo sistematico al mondo delle relazioni sociali. In questo abbiamo trovato sempre molta disponibilità al confronto e alla collaborazione sia da parte dei dirigenti scolastici che della coordinatrice di settore e degli insegnanti tutti. Questo sia quando ha iniziato il ciclo delle elementari presso il I circolo didattico “Sant’Alfonso Maria Fusco” fin quando al tanto temuto inserimento nelle scuole medie inferiori cercando di arginare i vari ostacoli e creare le condizioni per un vissuto sereno ed edificante».

Anche gli spazi educativi sono importanti: «Fin dalle scuole elementari, tra le altre cose, abbiamo ottenuto che alla classe di alunni, nella quale era inserito Giovanni Paolo, fosse messa a disposizione l’aula più grande e luminosa, nonostante il numero dei bambini fosse minore proprio per la presenza del compagno speciale.  Inoltre, è stata allestita una sala multisensoriale di cui mio figlio e altri ragazzi con gli stessi bisogni possono andare in caso di problemi, invece di girovagare nei corridoi». Inclusione sempre, anche fuori dalle mura scolastiche.

«Dopo alcuni tentativi anche la scelta della gita scolastica viene fatta tenendo conto dell’esigenze di Giovanni Paolo per offrirgli la possibilità di vivere un’esperienza educativa insieme ai propri compagni di scuola».

«Spesso – conclude Anna – questi bambini sono considerati la ruota di scorta, da poter lasciare anche a casa. Invece il più delle volte se diventano lo sterzo che orienta la direzione riusciamo creare un contesto più umano per tutti. Sono solo alcuni dei progetti messi in atto che dicono quanto sia importante la disponibilità al confronto tra gli insegnanti e i genitori per la cura dei bisogni educativi di ogni singolo alunno. Tutto questo rende piacevole e altamente formativa l’esperienza scolastica non solo per i bambini con bisogni speciali ma anche per gli insegnanti e il resto degli alunni felici di avere un compagno di scuola straordinario».

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