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Una comunicazione da cuore a cuore

Quando parliamo, parliamo con il cuore o con la pancia? Quando pensiamo usiamo ancora anche il cuore o ragioniamo con la freddezza senza emozioni di una macchina?
Papa Francesco – Foto Vatican Media/SIR

Parlate con il cuore. Questa volta il messaggio di Papa Francesco per la giornata mondiale delle comunicazioni sociali è quasi un appello. Accorato; detto cioè anch’esso con il cuore, come suggerisce l’etimologia della parola. Detto con realismo, senza nascondere il dolore, lo struggimento che comporta il parlare con il cuore, il caricare su sé stessi il dramma dell’isolamento, della incomunicabilità del nostro e di tutti i tempi figli del consumarsi del tradimento dell’uomo verso Dio.

Papa Francesco ha usato la parola cardiosclerosi, che non è solo una metafora. Abbiamo bisogno di parlare con cuori che non siano induriti.

Abbiamo bisogno di una comunicazione che sappia tessere una relazione vera; sappia non solo raccontare il bene ma anche vedere il male senza rimanerne imprigionata, per riscattarlo.

Il problema è esattamente qui. Quando il parlare diventa vuoto e vanitoso; è allora che bisogna mettersi in discussione, fare un esame di coscienza personale e collettivo.

Quando parliamo, parliamo con il cuore o con la pancia? Quando pensiamo usiamo ancora anche il cuore o ragioniamo con la freddezza senza emozioni di una macchina?

Con questo messaggio una cosa innanzitutto ci dice il Papa. Che solo ascoltando con il cuore puro, sapremo anche parlare con il cuore, e seguire la verità nell’amore (cfr Ef 4,15). Davvero beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. I puri di cuore vedono oltre l’apparenza. Vedono l’unità possibile oltre la divisione.

Questa è la sfida della buona comunicazione. Per raccontare le cose bisogna camminarci dentro. Farne esperienza con amore. Misurarne le contraddizioni, anche.

Intravedere le faglie di crisi. Immaginare con amore le possibili linee di evoluzione. L’amore si basa su questa fragilità suprema che è il sentire il bisogno di amare e di essere amati. Qui è la radice di ogni comunicazione. Per questo la connessione da sola non basta. Per questo non basta l’abbondanza di informazioni che ci sommerge. Per questo è necessario che tutti prendano sul serio l’esercizio di una comunicazione costruttiva, attiva, partecipata. Sappiano purificare e difendere il proprio cuore. E sappiano negoziare questa libertà.

Non c’è comunicazione se non c’è comunione. E non c’è comunione se non c’è comunicazione.

In questo senso, la creatività comunicativa – se vogliamo chiamarla così – non sta solo nella capacità di scrittura, di ripresa fotografica cinematografica, di montaggio ma anche in quella di tessere una relazione profonda fra le persone, cioè fra i loro cuori. Che ne sarà altrimenti della comunicazione, nell’era digitale se non sapremo distinguere fra una compilazione senza anima di dati senza controllo ed un racconto con l’anima? Se il giornalismo diventerà un modo come un altro per assemblare dati ad altri fini rispetto alla ricerca e alla condivisione della verità, e di un punto di vista? Se perderemo il rapporto autentico con chi ci legge, con chi ci ascolta, con chi guarda i nostri servizi su qualsiasi device questo avvenga?

Domandiamoci anzi a questo proposito: chi ha negoziato gli algoritmi? Cosa è che li muove? Chi è il padrone degli algoritmi? Chi è il padrone dei dati?

In che modo è o non è il cuore che anima la nostra comunicazione.

Come scrive il Papa nel suo messaggio, è dal cuore che scaturiscono le parole giuste per diradare le ombre di un mondo chiuso e diviso; per partecipare alla costruzione di una civiltà migliore di quella che abbiamo ricevuto. Questa è la comunicazione da cuore a cuore.


Paolo Ruffini

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