I figli hanno bisogno di un padre credibile, di un compagno di viaggio discreto e affidabile, che sappia fuggire le tentazioni dell’autoritarismo e della seduzione per porre la propria autorevolezza al servizio di chi sta compiendo lo sforzo di crescere.
Diventare padri senza padre è la sfida intorno alla quale, negli ultimi anni, si è concentrato un grande dibattito. La denuncia della loro assenza è diventata una sorta di mantra che si ripropone ciclicamente e che spiegherebbe alcune patologie del nostro tempo. Il cambiamento rispetto ai tempi di Freud consisterebbe nel fatto che il conflitto edipico ha perso la sua centralità: non siamo più in un tempo di ribellione verso i padri, perché i padri sono andati via ancora prima dell’uscita dall’infanzia dei loro figli. Quando il bambino incomincia a parlare, il suo interlocutore è soltanto la mamma o la nonna perché il padre è già evaporato. E i pochi padri che decidono di restare assumerebbero una sorta di funzione materna, che sarebbe un’abdicazione al proprio ruolo di terzo incomodo nella relazione simbiotica tra madre e figlio. Il padre non taglia più il cordone ombelicale tra mamma e figlio, anzi diventa connivente della sua permanenza.
Il padre nella Chiesa
Anche all’interno della Chiesa da più parti si levano preghiere e lamenti perché non esiste più la paternità.
Anche all’interno della Chiesa da più parti si levano preghiere e lamenti perché non esiste più la paternità. I sacerdoti – si dice – non sono paterni come una volta e trovare un padre spirituale competente è come andare a cercare un ago in un pagliaio. «Anche la Chiesa di oggi ha bisogno di padri. È sempre attuale l’ammonizione rivolta da San Paolo ai Corinzi: «Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri» (1 Cor 4,15); e ogni sacerdote o vescovo dovrebbe poter aggiungere come l’Apostolo: «Sono io che vi ho generato in Cristo Gesù mediante il Vangelo» (Patris Corde, 7).
Genealogia del dono
In particolare, si è modificata la funzione paterna, divenuta sempre più evanescente, poco incisiva. Il senso della paternità non sta nello stabilire dei legami di dipendenza, ma nel «mettere al mondo», cioè offrire lo spazio necessario perché il figlio diventi se stesso nella libertà. E il senso della figliolanza è la libera accoglienza di sé come essere in relazione: il figlio che riconosce di essere stato destinatario di un dono si apre alla capacità di donare; nelle relazioni intergenerazionali vi è una sorta di genealogia del dono: doniamo qualcosa che abbiamo ricevuto da altri. La dimensione simbolica del dono la possiamo individuare anche nella generatività, che non può essere ridotta alla sola dimensione biologica, ma è da intendere anche come capacità di prendersi cura dell’altro.
I genitori, rileva H. Arendt, «non si limitano a chiamare i figli alla vita, facendoli nascere, ma nello stesso tempo li introducono in un mondo. Con l’educazione si assumono la responsabilità nei due ambiti, a livello dell’esistenza e della crescita del bambino e a livello della continuazione del mondo». Per far questo è necessario che il padre recuperi la propria responsabilità educativa, si faccia garante di una promessa e di un debito nei confronti dei figli.
I figli hanno bisogno di un padre (e qui possiamo inserire anche la figura paterna del sacerdote) credibile che sappia porsi al loro fianco, disposto a camminare con loro. Compagno di viaggio discreto e affidabile, che sappia fuggire le tentazioni dell’autoritarismo e della seduzione per porre la propria autorevolezza al servizio di chi sta compiendo lo sforzo di crescere. E come afferma M. Recalcati: «Non c’è altra strada per condurre i propri figli sulla via di una vita ricca e piena di desiderio, di bellezza, che offrire la propria testimonianza di adulti che hanno saputo tentare la vita trovando una propria strada. Non si tratta però di una testimonianza morale: non si tratta di dare il “buon esempio” soltanto. Si tratta invece di mostrare come potrebbe essere una vita buona, ricca di desideri e pure reale e realizzata nella realtà concreta e sempre limitata».
E quando questo non avviene?
Aspettando i padri assenti si rischia di diventare dei loro sosia.
Tocca diventare padri senza padre. C’è bisogno del «coraggio creativo. Esso emerge soprattutto quando si incontrano difficoltà. Infatti, davanti a una difficoltà ci si può fermare e abbandonare il campo, oppure ingegnarsi in qualche modo. Sono a volte proprio le difficoltà che tirano fuori da ciascuno di noi risorse che nemmeno pensavamo di avere» (Patris Corde, 5). I figli diventati adulti, nella psiche ma anche nella fede, non aspettano un ritorno del padre, se non quello escatologico. Tocca a loro fare ciò che non è stato fatto da un padre che non c’è più. Se i figli sono diventati adulti, lui può dormire in pace, bravo o cattivo che sia stato. Aspettando i padri assenti si rischia di diventare dei loro sosia. È questo il tempo di figli che smettono di stare voltati indietro e accettano con coraggio di diventare adulti; è questo il tempo di azzardare il vangelo per un oggi che non si può rimandare.
Ma se un padre lo troviamo, non lo buttiamo via. A patto che non ci tenga perenni adolescenti. Un padre che accetti che c’è ancora da imparare e che non esiga di essere solo ascoltato. Quel padre che vuole che il figlio gli parli deve perdere il potere di detenere l’ultima parola e astenersi dal riempire il silenzio con le sue parole. Forse c’è bisogno di un padre che ascolti e che discerna insieme, che sappia dire una parola ultima solo dopo aver ascoltato e che a volte si trattenga pure dal dire l’ultima. Mission im-possible?
Don Vincenzo Spinelli