Da Matera parte il cammino delle generazioni

La Capitale europea della cultura 2019 ponte intergenerazionale

 

Un libro ormai datato sulla vita di don Giacomo Alberione aveva come titolo “L’uomo venuto dal futuro”. Generare, come seminare, progettare, vuol dire garantirsi un futuro, gettarsi in avanti.
I nostri nonni, durante la Seconda guerra mondiale, quando avevano qualche settimana di licenza, tornavano a casa e fecondavano la propria moglie per generare nuova vita, seminavano il campo e ripartivano. Non erano sicuri di poter vedere il frutto della loro semina, sarebbe servito per il sostentamento della famiglia, né erano certi di vedere il figlio che avevano generato. Vivevano di speranza, solo questa dava un senso alla loro vita: combattere per la patria, garantirsi un futuro nei figli.

Ciò che siamo oggi è frutto della speranza e della responsabilità di chi ha scommesso nel futuro. Di generazione in generazione l’umanità ha messo radici nel futuro, raccogliendo e facendo tesoro di ciò che si costruiva nel presente, giorno per giorno, e nella memoria di quanto si era ricevuto dal passato.
“Open future” è il dossier/programma di Matera Capitale europea della Cultura 2019. Non è una fuga in avanti ma il progetto di una comunità che ha radici profonde e lontane, che da millenni coltiva l’umano, perciò aperta al dialogo, all’accoglienza, all’integrazione.

Dentro questo programma, l’arcidiocesi di Matera – Irsina ha sviluppato il progetto “i Cammini”, quale contributo della Chiesa alla costruzione di un futuro di speranza per la Città, per il Sud Italia, per l’Europa. Tra i tanti Cammini individuati che coinvolgeranno tutte le diocesi della Basilicata c’è “il Cammino delle generazioni”.

Dal paleolitico, oltre ottomila anni, a quel tempo risale ininterrottamente la presenza umana a Matera, che con Aleppo e Gerico è la terza città più antica al mondo, a oggi generazioni di uomini e donne hanno imparato a vivere attivando l’ingegno e adattandosi all’ambiente, abitando grotte naturali e scavandone di nuove man mano che si presentavano altre necessità, imparando a coltivare la terra a confezionare il pane, ad ascoltare il silenzio, a coltivare lo spirito.

Di generazione in generazione si è trasmessa l’arte di raccogliere l’acqua, bene essenziale per la sopravvivenza. Cisterne in ogni grotta, con canali sotterranei che la trasmettevano ad altre cisterne. Cisterne più grandi per il fabbisogno del vicinato, fino al “palombaro grande”, una grande e immensa cisterna a servizio di tutta la città. Matera da venticinque anni è Patrimonio dell’Unesco proprio per il sistema di raccolta delle acque.

Di generazione in generazione si è trasmessa la fede, le ragioni per vivere e per superare le difficoltà, per non soccombere sotto i morsi della miseria e per custodire i valori della dignità umana, del senso della comunità. Lo testimoniano le oltre centocinquanta chiese rupestri affrescate con immagini suggestive e belle, alle chiese di san Pietro Caveoso, sant’Agostino, san Pietro Barisano, fino alle chiese del piano, alla Cattedrale, san Giovanni, san Francesco d’Assisi.

Di generazione e generazione luogo di incontro delle generazioni sono stati da sempre a Matera la famiglia e il vicinato.
La famiglia viveva nella case-grotta, insieme con gli animali e tanti figli, spesso unica ricchezza. Giaciglio per una nuova vita talvolta era il cassetto del comò, ci si arrangiava come meglio possibile. Gli uomini ben presto al mattino andavano nei campi a lavorare, le donne impastavano la farina con il lievito madre e, dopo averlo timbrato con le iniziali del capo famiglia per riconoscerlo, lo portavano al forno.

Pani molto grandi, anche di quattro o cinque chili, segnati con tre tagli a ricordare la Trinità.
Le case gravitavano a gruppi su uno slargo, il vicinato. Le porte sempre aperte da dove si entrava e usciva a formare un’unica grande famiglia. I figli erano i figli del vicinato, della comunità. Se è vero che tutti sapevano tutto di tutti, pur senza avere wat sapp, è vero anche che tutto era condiviso nella solidarietà. Non mancavano i conflitti e le incomprensioni, ma tutto era ricomposto grazie all’intraprendenza delle donne, che sapevano ricondurre alla ragione e alla forza della preghiera, insieme si recitava il rosario.

Di generazione in generazione si sono trasmessi i mestieri, primo fra tutti l’arte di scavare la roccia di calcarinite per ricavarne blocchetti di tufo per costruire le case della città; “cavamonti” erano chiamati gli operai addetti a questo compito e dal vuoto creato dall’estrazione ora ci sono cave diversamente utilizzate: museo a cielo aperto, la Cava del Sole, un contenitore culturale, luogo di incontro di spettacoli teatrali e musicali. Il tufo si prestava bene a essere scolpito, a decorare portali, facciate di palazzi così come oggi si presta bene a creare sculture e oggetti di design.

Di generazione in generazione i nonni hanno raccontato ai nipoti il segreto di questo luogo “magico”
che è Matera e continuano a raccontare come si svolgeva la vita nei Sassi, i giochi di un tempo, i canti e le melodie che accompagnavano i momenti di festa e i ritmi della vita quotidiana, i sacrifici e le rinunce che gli antenati avevano dovuto affrontare.

Il Cammino delle generazioni intende mettere a valore questo patrimonio di memoria e indicare a tutte le comunità della diocesi, della regione, di tutto il territorio come è importante creare legami tra le generazioni.
Papa Francesco parlando della famiglia non dimentica mai i nonni, gli anziani. “La Chiesa guarda alle persone anziane con affetto, riconoscenza e grande stima. Esse sono parte essenziale della comunità cristiana e della società, in particolare rappresentano le radici e la memoria di un popolo”. “Voi – ha detto il Pontefice – siete una presenza importante, perché la vostra esperienza costituisce un tesoro prezioso, indispensabile per guardare al futuro con speranza e responsabilità. La vostra maturità e saggezza, accumulate negli anni, possono aiutare i più giovani, sostenendoli nel cammino della crescita e dell’apertura all’avvenire, nella ricerca della loro strada. Gli anziani, infatti, testimoniano che, anche nelle prove più difficili, non bisogna mai perdere la fiducia in Dio e in un futuro migliore”.

“Gli anziani – ha osservato – sono come alberi che continuano a portare frutto: pur sotto il peso degli anni, possono dare il loro contributo originale per una società ricca di valori e per l’affermazione della cultura della vita”. “Penso – ha sottolineato – a quanti si rendono disponibili nelle parrocchie per un servizio davvero prezioso: alcuni si dedicano al decoro della casa del Signore, altri come catechisti, animatori della liturgia, testimoni di carità. E che dire del loro ruolo nell’ambito familiare? Quanti nonni si prendono cura dei nipoti, trasmettendo con semplicità ai più piccoli l’esperienza della vita, i valori spirituali e culturali di una comunità e di un popolo! Nei Paesi che hanno subito una grave persecuzione religiosa, sono stati i nonni a trasmettere la fede alle nuove generazioni, conducendo i bambini a ricevere il battesimo in un contesto di sofferta clandestinità”.

Quattro parrocchie, tre della città: Sant’Antonio, San Giacomo, Maria Madre della Chiesa e una di un paese, Bernalda, si attiveranno per un progetto di scambio e di incontro tra le generazioni. Famiglie, anziani, giovani e ragazzi si impegneranno a incontrarsi, raccontarsi, trasmettere i saperi e i sapori, ravvivare tradizioni, costruire spettacoli, rilanciare l’arte del presepe in casa. Probabilmente qualcosa del genere già si fa in alcuni luoghi, la sfida è far diventare permanente e costruttiva questa alleanza tra nipoti e nonni, tra anziani e giovani. Non mancano nonni tecnologici che smanettano bene e se la cavano abbastanza con l’uso del computer, possono mettere, però, la tecnologia a servizio della trasmissione di antichi mestieri per passare poi a far appassionare i ragazzi nella manualità, ad esempio la cartapesta, con la quale si costruisce ogni anno il carro della Bruna.

Di generazione in generazione si semina futuro… è la sfida di Matera Capitale europea della Cultura.

Riccardo Benotti (Sir)

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