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Con lo sguardo al campanile

Il 23 giugno 1900, a Pompei, la signora Luisa Agostini Coleschi guarì istantaneamente dopo aver invocato l’allora beata Margherita Maria Alacoque.
Il campanile del santuario di Pompei

Il 24 maggio scorso, a Pompei, sono stati celebrati i cento anni dall’inaugurazione del campanile del Santuario, la cui edificazione, voluta dai fondatori, il beato Bartolo Longo e sua moglie, la contessa Marianna Farnararo De Fusco, ebbe inizio nel 1912.

Un vecchio proverbio recita: «Come la gente vive, così suonano le campane». È un modo per dire che il modo di vivere di una persona corrisponde al suono della campana, al modo in cui la sua vita è percepita nella comunità. Le campane accompagnano la vita personale e, di certo, la vita religiosa e sociale di un popolo. Non è una costruzione, per quanto maestosa opera d’arte, che si celebra ricordandone il centenario, ma l’umanità che è in quel simbolo di fede, un’umanità che invoca Dio e lo cerca.

«Un campanile ci eleva – ha detto l’arcivescovo di Pompei, monsignor Tommaso Caputo, durante il convegno che ha anticipato la commemorazione del 24 maggio –, ci dona un’immagine plastica di un’umanità che cerca Dio, facendo venire alla mente la scala di Giacobbe descritta nel capitolo 28 della Genesi. Giacobbe “fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa”. Salire fino a Dio per discenderne e portare il suo amore infinito al mondo. È questo che oggi il Signore ci dice ogni qual volta guardiamo il campanile del Santuario: cercate Dio e riempite del suo amore il mondo».

Guardare il campanile, ascoltarne le otto campane. Guardare e ascoltare sembrano diventati gesti anacronistici.

Ormai abituati a correre, ci sfuggono le «cose belle». Padre Enzo Bianchi, in un articolo pubblicato sulle pagine de La Stampa nel 2007, scrisse: «Dimenticate o vituperate, le campane tendono a non suonare più e comunque quando rintoccano nessuno riesce nemmeno ad ascoltarle, soffocate come sono dal frastuono del traffico e dell’attivismo incalzante. Ma il ricordo della mia generazione va con gratitudine al suono delle campane che scandiva la vita nei paesi di campagna».

Con lo sguardo in alto al campanile del Santuario, caro ai pellegrini che giungono a Pompei dalle terre dell’Agro, si noterà una grande statua del Sacro Cuore di Gesù e, sopra, l’inscrizione «Venite ad me omnes», «Venite tutti da me». Sulla porta di bronzo, alta ben dieci metri, è descritta l’apparizione del Sacro Cuore di Gesù a santa Margherita Maria Alacoque, che nella sua autobiografia racconterà di aver visto Gesù «su di un trono di fiamme, raggiante come sole, con la piaga adorabile, circondato di spine e sormontato da una croce».

Santa Margherita fu canonizzata nel 1920 grazie a un miracolo avvenuto, per sua intercessione, proprio a Pompei. Il 23 giugno 1900, la signora Luisa Agostini Coleschi, colpita da mielite spinale acuta, guarì istantaneamente dopo aver invocato l’allora beata. Era giugno, mese dedicato proprio al Sacro Cuore di Gesù.

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