Non solo slogan

Tra gli argomenti del suo editoriale Salvatore D’Angelo riflette sui dati dei femminicidi aggiornati allo scorso settembre, che permettono di fare il punto sulla situazione della violenza di genere nel nostro paese.

Non deve rassicurare il dato rimasto quasi inalterato, rispetto allo scorso anno, del numero di femminicidi compiuti in Italia. Anche la morte di una sola donna è troppo. È una sconfitta. I numeri ci dicono di una vittima ogni tre giorni. Al momento si è superato il tetto delle cento donne uccise da mariti, compagni, figli. Storie di violenza estrema, di follia, a cui non ci si deve abituare e a cui si deve porre un argine legale e morale.

È chiesto ad ognuno di scorgerne i segnali. Si può prevaricare, fare stalking, abusare in casa, sul luogo di lavoro, in palestra, tra amici. Come ha detto il vescovo Giuseppe Giudice nell’omelia del 2 novembre al cimitero di Nocera Inferiore sono “quasi cronache di morti annunciate perché siamo distratti, perché ci sembra tutto a posto, perché non abbiamo il coraggio di guardare nell’animo e scorgere le rughe sul volto di questi giovani”.

Parole che ci interrogano. Non bastano panchine e scarpette rosse, o meglio, attiviamoci non solo per panchine e scarpette rosse. 

Quando queste tragedie ci sfiorano, per un momento, purtroppo solo per uno, diventiamo più consapevoli della grave situazione sociale. Lo abbiamo sperimentato nei giorni scorsi, con l’omicidio di Annalisa D’Auria. La 32enne di Nocera Inferiore, che per motivi di lavoro viveva a Rivoli, in provincia di Torino, è stata ammazzata in casa dal suo compagno. Lui, Agostino Annunziata, 36enne, anch’egli nocerino, ha poi deciso di togliersi la vita.

C’è una terza vittima. Non sarà annoverata nei conteggi ufficiali perché, fortunatamente, è stata risparmiata dalla furia omicida-suicida. È la figlia di Annalisa e Agostino, tre anni. Come lei, ci sono tanti piccoli innocenti che pagano il prezzo dell’egoismo e della sopraffazione degli adulti. Un destino comune a tanti figli e figlie, in ogni parte del mondo.

Il pensiero va ai bambini israeliani e palestinesi. Questi ultimi li abbiamo visti in migliaia di filmati girati sui social, oltre quelli censurati passati ai telegiornali. Disperati, in lacrime, pieni di polvere, insanguinati e feriti. Morti, avvolti in teli bianchi. 

La pace, nei teatri di guerra internazionali come nelle nostre case, non può essere una tensione ideale, ma deve essere un impegno concreto. Con le parole di papa Francesco, affidiamo queste donne e questi bambini, questa umanità, alla Madre di tutti, perché non si sopprima il futuro.

«In quest’ora buia ci immergiamo nei tuoi occhi luminosi e ci affidiamo al tuo cuore, sensibile ai nostri problemi (…). Volgi il tuo sguardo di misericordia sulla famiglia umana (…) che ha preferito Caino ad Abele e, perdendo il senso della fraternità, non ritrova l’atmosfera di casa. (…) Insegnaci ad accogliere e curare la vita, ogni vita umana!».

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