SS. Annunziata: il valore del canto liturgico

La testimonianza di Alfredo Benincasa.

Il canto liturgico è esperienza di fede che cambia la vita del cristiano. Riportiamo la testimonianza di Alfredo Benincasa, impegnato nella comunità Santa Maria del Carmine e della Santissima Annunziata di Angri.

«Ognuno chiede in qual modo cantare a Dio. Canta a Lui, ma canta bene. Egli non vuole che le sue orecchie siano offese. Canta bene, fratello.» (S. Agostino – Esposizioni sui Salmi). È una premessa importante da cui partire, perché qualsiasi evento liturgico – la Santa Messa soprattutto, l’Adorazione Eucaristica e gli altri riti – attraverso il canto possa arricchirsi ancor più di quella spiritualità grazie alla quale tutti i fedeli percepiscano nel loro profondo la dolce intimità col nostro Dio.

Ecco la ragione per cui è necessario, anche se costa un po’ di impegno da parte di tutti, diventare “un cuore solo e un’anima sola,” (Atti 4, 32) condividendo anche nel canto la nostra comunione.

Cantare a Dio: espressione d’amore

Il cantare a Dio è espressione di gioia e, se ci pensiamo bene, anche di amore. Nella nostra comunità parrocchiale della SS. Annunziata e di S. Maria del Carmine di Angri, retta dal nostro buon pastore don Antonio Mancuso, ci sforziamo a piccoli passi di crescere nella lode a Dio, cantando.

Nella quarta settimana di Quaresima di quest’anno, durante il cammino che ci ha accompagnato verso la Pasqua del Signore, vi è stata la solennità di S. Giuseppe e, nella novena a lui dedicata, abbiamo imparato e cantato insieme un inno allo sposo di Maria.

Personalmente è stata un’esperienza bella e fortificante nella sua semplicità. Durante le prove alla fine di ogni Messa, con don Antonio presente in mezzo a noi, abbiamo sperimentato la grazia dello stare insieme e la gioia di cantare la lode a Dio per il dono di San Giuseppe, fedele custode della Sacra Famiglia.

“Chi canta bene prega due volte”

Diceva Sant’Agostino: “Chi canta bene prega due volte”. La musica e il canto sono da sempre legati alla preghiera. Posso dire che questa affermazione del santo Vescovo la vivo davvero, la sento. Nella liturgia Eucaristica ho la percezione, quando intono le prime sommesse note del canto di comunione, di entrare in una dimensione di abbandono e di fiducia straordinaria, da non confondere con la mera suggestione.

Vivo le parole che sono nel canto e mi sforzo di abitarle e tutto questo mi impegno affinché arrivi a tutta l’assemblea, perché canti con me ed io con loro. 

Foglietti ingialliti custoditi nel cuore

Abbiamo tra i fedeli della nostra parrocchia diverse donne, alcune avanti negli anni, le quali mi avvicinano per chiedermi se conosco questo o quell’altro canto.

Talvolta mi commuove vedere quella serie di foglietti che recano in mano, alcuni dei quali ingialliti dal tempo. Mi pare di leggere nei loro occhi il timore che possano andare perduti se qualcun altro non li accoglie per poterli cantare ancora.

Vorrei poter avere più esperienza e più competenza per esaudire queste richieste, perché questi canti, seppur lontana è la loro provenienza, sono stati il respiro e la preghiera che ci hanno condotto fino a qui.

                                                                                      Alfredo Benincasa

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