La carità politica

Nel passaggio dalla coscienza all’autocoscienza nasce la consapevolezza che il soggetto ha una responsabilità collettiva. Senza questo percorso non ci si può impegnare in politica. Continua l’approfondimento di Fratelli tutti

Quando la vedova, l’orfano, il povero e il forestiero entrano nella nostra vita e turbano la nostra coscienza, risvegliandola dallo stordimento del “divertissement”, facendo cessare il sonno che prolunga il sogno, siamo capaci di intravedere “nei piccoli” una traccia della presenza dell’Infinito. Invece quando il “fratello” continua ad essere visto come un ostacolo favorisce, come scrive Hegel, “l’imporsi della dittatura della coscienza”.

Solo il superamento di questo impedimento, che avviene nel passaggio dalla coscienza all’autocoscienza, determina la consapevolezza che il soggetto ha una responsabilità collettiva (è il dramma de La coscienza di Zeno).

La coscienza chiusa nella soggettività, che non perviene alla consapevolezza della propria responsabilità, che dà spazio alla dittatura del principio della soggettività non si fa carico di alcuna responsabilità collettiva e tanto meno delle conseguenze che ne derivano. La coscienza che supera se stessa e si fa autocoscienza assume come caratteristica quella di prodigarsi nella mediazione e di farsi carico delle domande che vengono dalla società. 

Adolf Eichmann, funzionario tedesco del Terzo Reich, individuato come il principale fautore della strage degli ebrei, dipinto come un mostro, venne processato e giustiziato.

La linea difensiva si basò essenzialmente su una semplice frase: “stavo solo eseguendo degli ordini”, negava perciò ogni sua diretta responsabilità. Eichmann viveva probabilmente una situazione di totale alienazione da se stesso, concepiva il proprio io non come un essere umano, dotato di una propria coscienza ed etica morale e civile, ma come un mero strumento nelle mani del proprio superiore o di quell’io imperante che narcisisticamente chiude la porta ad ogni forma di compassione. Ora resta da stabilire quanto di veritiero ci sia in questa affermazione, che in nessun modo può comunque essere assunta come giustificazione. 

Come in passato è accaduto per i totalitarismi, oggi tutte le organizzazioni fortemente gerarchizzate, che producono nel singolo una deresponsabilizzazione delle proprie azioni, debbono essere condannate.

Se la coscienzadiventa un principio inappellabile in politica, che è il luogo dove dovrebbe trovare riequilibrio il conflitto delle diverse posizioni, allora bisogna dire che coloro che si attengono alla dittatura della coscienza non devono entrare in politica, perché la loro coscienza non prevede alcuna responsabilità collettiva, ma solo l’osservanza dei propri princìpi o dei propri interessi. 

di padre Giovanni Caruso

La responsabilità di governare

La carità politica si esprime anche nell’apertura a tutti. Specialmente chi ha la responsabilità di governare, è chiamato a rinunce che rendano possibile l’incontro, e cerca la convergenza almeno su alcuni temi. Sa ascoltare il punto di vista dell’altro consentendo che tutti abbiano un loro spazio. 

Con rinunce e pazienza un governante può favorire la creazione di quel bel poliedro dove tutti trovano un posto. In questo ambito non funzionano le trattative di tipo economico. È qualcosa di più, è un interscambio di offerte in favore del bene comune. Sembra un’utopia ingenua, ma non possiamo rinunciare a questo altissimo obiettivo (FT 190). 

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