Tutto, anche l’arte, deve essere misericordia. Se c’è una cifra nel pontificato di Francesco, una traccia, che ha seguito e ci ha consegnato essa va di sicuro cercata in una costante attenzione alle persone più fragili, bisognose di aiuto e di ascolto. L’ha fatto con concretezza, spesso attraverso un aiuto materiale ma, sempre, attraverso le sue parole di speranza e incoraggiamento.
Tutto per lui aveva un senso nel concorrere alla felicità umana, nel rapporto con Dio e nella relazione con i propri fratelli nel mondo. «L’arte non deve mai scartare niente e nessuno», questo era il suo pensiero rispetto alla disciplina che da sempre per la Chiesa è stata una «forma attendibile della bellezza del creato» e uno strumento, accessibile a tutti, di conoscenza della storia della Salvezza, uno strumento di evangelizzazione.
Non me ne vogliano intellettuali e studiosi della materia, ma non vi è epoca o evento che non sia stato raccontato attraverso l’arte e non sia stato recepito anche e soprattutto da chi non aveva gli strumenti culturali per farlo diversamente. Dalle icone bizantine alle chiese gotiche, dalle pale d’altare alle costruzioni barocche, fino alle raffinate pitture e sculture neoclassiche tutto ha contribuito a descrivere la storia della vicenda umana, terrena e ultraterrena, in modo compressibile a tutti, dunque inclusivo.
Come ha scritto in La mia idea di arte (Mondadori 2015), per papa Francesco i musei, a partire da quelli Vaticani fino all’ultimo dei diocesani, «devono essere luoghi del bello e dell’accoglienza» perché «l’arte ha in se una dimensione salvifica» che deve essere accessibile a tutti, soprattutto ai più poveri e deboli del mondo, anche perché essi sono al centro del Vangelo e visto che «se togli i poveri dal Vangelo non si capisce più niente» allora perché dovrebbero essere estromessi dai luoghi della cosiddetta cultura alta?
In un contesto globale sempre più ricco di beni materiali da usare e gettare, nella frenesia del consumo, Francesco ci ha proposto una lettura dell’arte come di qualcosa che invece non scarta nulla.
Molti sono gli esempi, anche illustri, che si possono fare per descrivere questa visione. Si potrebbe citare il San Pietro in cattedra nella Basilica vaticana, un rimaneggiamento di una statua bronzea di Giove Capitolino che, nel V secolo d.C. subì una trasformazione iconografica rendendola una delle opere più note ai fedeli di tutto il mondo; una Renault 4 appartenuta a don Renzo Zocca simbolo concreto della vita di un sacerdote che ha attraversato in lungo e in largo le strade della sua città per portare aiuto e conforto a chiunque ne avesse bisogno, oggi esposta nel padiglione delle carrozze ai Musei Vaticani.
Un artista, più di altri, ha suscitato le attenzioni di Bergoglio: Alejandro Marmo, argentino che utilizza materiali di scarto, rottami, per creare le sue opere e per farlo si fa aiutare da «persone che sono state scartate» dalla società, da «ragazzi di strada» che per molti non hanno nulla da dire, anzi sono da evitare, ma agli occhi di chi sa vedere oltre il visibile possono offrire al mondo una bellezza inaspettata. La stessa bellezza che solo pochi hanno visto in Cristo, «il figlio di Dio: prima lasciato al freddo e costretto a nascere in una stalla e poi ucciso. Scartato, anche lui».
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