Non è mio compito, né questo il momento, di racchiudere in poche battute il magistero profetico di Francesco. Mentre siamo immersi nel dolore per la sua scomparsa, una sorpresa pasquale, come tanti gesti del suo pontificato, prevalga in noi la gratitudine e la preghiera per la sua anima, e per il dono ricevuto nella sua persona nei dodici anni intensi di pontificato.
Sicuramente sono tante le prospettive da cui leggere la vita e l’opera di Francesco, un poliedro; io mi voglio soffermare sul fatto che egli ci ha fatto scoprire e rispolverare un nuovo lessico, un nuovo vocabolario – il vocabolario di Francesco –, un dizionario inedito, vorrei dire parole nuove, o pronunciate in modo nuovo, per dire a tutti – todos – l’antico e sempre nuovo verbo del Vangelo, con vocaboli desunti dalla più sana tradizione ecclesiale.
Forse potremo mettere insieme, come in un mosaico, le tante parole che abbiamo riscoperto con Francesco; parole certamente già conosciute ma forse andate in disuso, a cominciare da quel «buonasera»con il quale, affacciandosi alla loggia di San Pietro, inaugurò il suo pontificato il 13 marzo 2013, «venuto dalla fine del mondo»e dando spazio ad un nuovo rapporto tra Vescovo di Roma e popolo. È lungo l’elenco delle parole nuove, tutte dense e rivelatrici di una spiritualità, una teleologia, di un moto e uno stile di vedere la Chiesa e il mondo.
Potremmo farne un elenco, certo non esaustivo, ma già capace di dire la ricchezza di un magistero singolare: periferie; Chiesa in uscita; odore delle pecore; carne di Cristo; cultura dello scarto; ospedale da campo; fraternità; ecologia integrale; misericordia; mondanità spirituale; scusa-grazie-permesso; economia che uccide; sinodalità; poveri; terza guerra mondiale a pezzi; pace; giovani-divano.
La forte testimonianza di Francesco, che ha toccato periferie geografiche ed esistenziali, ci ha insegnato a tenere insieme parole e gesti. Anzi, direi prima i gesti (il fare) e poi le parole (il parlare); in lui, in modo originale e sorprendente, il dire è stato innanzitutto un fare, e un fare per tanti, credenti e non.
Una testimonianza luminosa, coraggiosa e profetica; direi una liturgia di gesti, compiuti non per farci simili, ma per farci simili agli ultimi, che sono ritornati visibili sullo scenario della Storia. Il nuovo lessico, appreso dal Vangelo, ce lo ha mostrato, più che insegnato, con i tanti gesti singoli del suo pontificato.
Con lui, la Chiesa è andata avanti come Pellegrina di Speranza. Con parole nuove, affrontando il tema del linguaggio attuale, ha annunciato con gioia (Evangelii gaudium) la dottrina di sempre, senza deroghe, tagli e sconti, ma con parole nuove e vere, imbevute nel Vangelo e per questo sempre comprese da tutti, anche da coloro per i quali l’unico vocabolario, o lessico, è quello della strada.
E noi, come Chiesa, lo abbiamo ascoltato, lo abbiamo capito, lo abbiamo seguito? Stracciandoci le vesti, come il sommo sacerdote (cfr Mt 26, 65); o forse da lontano, come Pietro nell’ora del rinnegamento (cfr Lc 22, 54-62); o come il primo figlio della parola, che invitato ad andare nella vigna rispose “non ne ho voglia”, ma poi, si pentì e andò (cfr Mt 21, 29).
Grazie e perdonaci, Santo Padre!
*Vescovo
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