Testimoniare la pace

Sui rapporti quotidiani dovremmo misurare il nostro essere persone pacifiche. Per esempio, come ci comportiamo quando siamo nelle assemblee condominiali?
Foto di Kevin Schwarz da Pixabay

Trepidiamo tutti perché la tregua fra Israele e Hamas regga e anzi si consolidi in modo che si possano ricostruire sulle macerie piccole speranze di pace. Anche per il conflitto in Ucraina si vorrebbero vedere bagliori che indichino la fine delle ostilità. Non è qui il luogo per approfondire se il tacere delle armi sia sostenuto da criteri di giustizia e non solo di opportunità e strategie, quello che è certo è che tutti desideriamo che finisca lo stillicidio di vittime innocenti nei tanti luoghi martoriati dalla guerra.

Nell’invocare la pace, però, siamo interpellati nel profondo della coscienza e ci viene domandato di rendere vero e onesto il nostro desiderio. Perché la pace non va soltanto invocata, va costruita, prima di tutto dentro il confine del proprio cuore, echeggiando il salmista. Ciascuno, poi, è chiamato a fare la sua parte, diventando, secondo l’esortazione di Papa Francesco, “artigiano della pace”.

È nella vita quotidiana che si forma quella “cultura della pace” che dà credibilità alle nostre invocazioni. Perciò, mentre preghiamo affinché la pace ponga fine ai grandi conflitti, non possiamo non domandarci se sappiamo essere uomini e donne di pace nelle nostre famiglie, con i vicini, per strada. Per esempio, come ci comportiamo quando siamo nelle assemblee condominiali?

Spesso queste riunioni tutto sono tranne che occasioni in cui mettere in campo la nostra capacità di convivenza e rispetto reciproco. Il nostro prossimo non possiamo scegliercelo e quando è il dirimpettaio o il vicino di pianerottolo può succedere che si scatenino liti e contenziosi che per acribia ed aggressività competono con gli scontri più distruttivi.

È in queste circostanze che dovremmo interrogarci su come ci comporteremmo se fossimo noi nelle stanze dei bottoni dove si decide con le armi della vita o della morte di altre persone. Quando per il danno di un’infiltrazione di cui il vicino non vuole assumersi la responsabilità non siamo disposti a transigere… quando gli schiamazzi o i rumori di quelli del piano di sopra non ci fanno dormire, quando non si trova l’unanimità per una spesa che pure è palesemente opportuna.

Ci sono mille situazioni in cui può prevalere l’incomprensione che poi si tramuta in freddezza se non in aperta ostilità. Nessuno di noi ha qualche “nemico” sulla sua scala? Qualcuno che si fa fatica a salutare o incontrare in ascensore? Su questi rapporti quotidiani dovremmo misurare il nostro essere persone pacifiche.

Spesso siamo disposti ad andare d’accordo e a perdonare solo sulla carta, un “dover essere” che rimane appeso senza concretizzarsi mai nel nostro intimo, come un invito vago che si trasmette ai figli, ma poi non si sa vivere in prima persona. L’assemblea condominiale è una delle tante palestre in cui si è messi alla prova, si può voler sempre aver ragione e neanche dare la parola all’altro, oppure dimostrarsi capaci di ascolto, di empatia, di sapersi mettere nei panni altrui.

È anche attraverso queste prime embrionali aggregazioni che le famiglie possono distinguersi e mettere in campo uno stile per cui si accoglie l’altro per quello che è e non per quello che vorremmo che sia. Spesso i meno facinorosi sono anche quelli che danno la delega ad un altro per partecipare alla riunione. Forse anche questo non voler prendere parte al confronto è talvolta da leggersi come una pigrizia fisica e spirituale perché è più facile non litigare quando non si affrontano i problemi, piuttosto che nel momento in cui si rimane al proprio posto e si accetta la sfida di trovare un accordo.

In certi casi forse sarebbe opportuno non tirarsi indietro e mettersi a disposizione della piccola collettività del condominio per aiutare a dirimere le questioni, farsi mediatori, intercedere per trovare degli accordi. La nostra testimonianza di pace non ha confini e si può concretizzare in tante situazioni diverse appena superata la soglia di casa. La mitezza di una famiglia cristiana può essere la cifra più incisiva della nostra appartenenza al popolo di Dio, un popolo che vuole e sa camminare insieme.

Giovanni M. Capetta

Iscriviti alla nostra newsletter per restare sempre aggiornato.

Total
0
Shares
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Related Posts