Antonio Cantisani: una serata per ricordare il Vescovo originario di Lauria

La figura del vescovo Cantisani, a tre anni dalla morte, è stata ricordata il 1° luglio scorso nel Santuario del Beato Domenico Lentini, a Lauria, la città della provincia di Potenza che gli diede i natali il 2 novembre 1926.
Monsignor Antonio Cantisani con papa Francesco – foto archivio famiglia Cantisani

«La sera prima che nostra sorella morte corporale, un’espressione che lui ripeteva spesso, facesse capolino nella sua esistenza, dopo la recita del Santo Rosario, sottovoce mi confidò: “Don Massimo, ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la fede. Maranatha. Vieni Signore Gesù”».

Il giorno successivo monsignor Antonio Cantisani, arcivescovo emerito di Catanzaro-Squillace, la diocesi che aveva guidato dal 1986 al 2003 (ancora prima, dal 1980, aveva svolto il ministero di arcivescovo di Catanzaro e vescovo di Squillace), si spense, a 94 anni.

Morì nel piccolo appartamento ricavato all’interno del seminario minore del capoluogo calabrese, dove aveva scelto di continuare a vivere anche dopo le dimissioni per raggiunti limiti d’età.

Monsignor Antonio Cantisani con papa Francesco – foto archivio famiglia Cantisani

Il rapporto con monsignor Illiano

Il vescovo Antonio era legato da profonda amicizia e stima con il compianto monsignor Gioacchino Illiano, vescovo di Nocera Inferiore-Sarno dal 1987 al 2011.

In un’occasione fu Illiano a invitarlo a presiedere gli esercizi spirituali per i sacerdoti del clero nocerino.

La figura del vescovo Cantisani, a tre anni dalla morte, è stata ricordata il 1° luglio scorso nel Santuario del Beato Domenico Lentini, a Lauria, la città della provincia di Potenza che gli diede i natali il 2 novembre 1926.

Il ricordo di don Massimo

Le parole poste all’inizio di questa breve cronaca sono di don Massimo Cardamone, il sacerdote catanzarese che, da segretario particolare, gli fu accanto dal 1997 e che, fino al 2018, anche negli anni da emerito, ha continuato a vivere con lui.

«Se prima, all’inizio, il rapporto – prosegue – era funzionale al mio ruolo di segretario, nel tempo la relazione è diventata affetto, intimità, da padre a figlio».

È ricco di quotidianità e di vita il racconto di don Massimo, che rivela anche le parole che danno inizio al testamento dell’arcivescovo sul «poco che ho a mia disposizione» perché «ho sempre ritenuto un dono l’amore alla povertà nella consapevolezza che l’unico vero tesoro è Gesù Cristo, il Crocifisso risorto».

Il racconto delle ultime ore è l’ulteriore testimonianza di un vescovo innamorato del Signore, della Chiesa pensata sempre come una sposa e del suo essere prete.

da sinistra l’arcivescovo Claudio Maniago, il vescovo Vincenzo Orofino e, a parlare, don Massimo Cardamone

Il ricordo di monsignor Maniago e il tifo per la Fiorentina

Monsignor Cantisani era anche un uomo innamorato della vita, in tutte i suoi aspetti. Se ne ricorda per esempio la passione per lo sport e in particolare per il calcio, il ciclismo, l’atletica leggera.

Monsignor Claudio Maniago, arcivescovo di Catanzaro-Squillace, rimarca di non aver mai conosciuto di persona monsignor Cantisani, ma di averne sentito parlare ovunque nella sua diocesi.

Parlando dell’amore per lo sport del vescovo Antonio, ricorda di quando il cardinale Silvano Piovanelli, amato arcivescovo di Firenze dal 1983 al 2001, gli disse che avrebbe dovuto conoscere quel vescovo per il tifo appassionato che faceva per la Fiorentina.

La Fiorentina, la squadra che accomuna monsignor Cantisani al vescovo Claudio che, quasi vent’anni dopo, gli succederà alla guida della diocesi calabrese.

«Parlando con i sacerdoti e con la gente – evidenzia monsignor Maniago – la prima cosa che mi ha colpito è l’essere rimasto veramente nel cuore della gente».

«Il tratto dell’essere tifoso della Fiorentina – dice ancora – può essere secondario, ma io credo che questo sia un tratto importante. Questo vescovo è stato prima di tutto un uomo, che ha saputo avere non soltanto una buona umanità, un buon modo di porsi verso gli altri. Ha saputo vivere la propria umanità in tutti i suoi aspetti, anche la passione sportiva. Non è una cosa obbligatoria per il cammino verso la santità, però è un’espressione di umanità. Questa passione non la viveva da solo. Si era creato il suo circolino, per cui alle partite quattro amici c’erano sempre. Questo è un tratto molto bello che dice di una persona che vive serenamente la propria umanità. Su un’umanità di questo genere si può innestare anche un sereno modo di vivere la propria consacrazione».

Un’umanità portata a servizio dell’uomo e che lo rende ancora ben vivo nella memoria. «Lui era un innamorato – continua monsignor Maniago – tutti mi parlano di un uomo innamorato del suo sacerdozio, del suo essere vescovo, della Chiesa. In lui tutto si traduceva in amore concreto alla Chiesa che gli era stata affidata. Mi ha colpito il suo dinamismo e le testimonianze che dicono di un uomo interiormente dinamico. Era un cercatore della verità perché i suoi studi non sono per gratificare la sua intelligenza, ma per la ricerca della verità. Uno studioso desideroso non solo di cercare la verità, ma di condividerla».

«L’umanità – considera l’arcivescovo – è un po’ la base su cui ha costruito la sua vita e il suo ministero. Aveva attenzione per migranti, poveri: lui è stato attento quando questi temi non erano ancora di moda. Un’attenzione non formale, ma vera, autentica, da spendersi. Questo vescovo è stato un grande interprete del Concilio Vaticano II».

da sinistra il giornalista Mario Lanboglia, l’arcivescovo Claudio Maniago e il vescovo Vincenzo Orofino

Le parole di monsignor Orofino

Monsignor Vincenzo Orofino, vescovo di Tursi-Lagonegro, parla di monsignor Cantisani, l’amico «don Antonio».

Per lui è stato «un uomo di Dio. Ma non riservato, estraneo alle cose del mondo. Un uomo determinato dall’incontro con Dio e quest’incontro lui lo ha manifestato a tutto il mondo, a noi, attraverso l’amore al sacerdozio, all’uomo, alla Chiesa. La concezione antropologica di monsignor Cantisani riconduce a una dimensione unitaria».

«L’amore eccezionale per i poveri, ma anche la ricerca dell’incontro con l’università e i professori più colti. È l’amore all’uomo che lo spinge all’interesse sociale. L’uomo in quanto uomo è una vera risorsa per la vita della Chiesa e per la vita dell’altro. Con quella gioia, con quella umanità, ti coinvolgeva nella sua azione. Un uomo di Dio che manifesta amore per l’uomo, all’uomo totale, all’uomo che ama, all’uomo che lavora, all’uomo che è povero, all’uomo dotto, all’uomo ricco, all’uomo che fa politica. Un uomo di Dio innamorato del destino dell’uomo», le parole di monsignor Orofino.

La devozione al beato Domenico Lentini

Beato Domenico Lentini

Nel Santuario, alla destra dell’altare maggiore e del tavolo dei relatori, sono custodite le spoglie mortali del beato Domenico Lentini, presbitero vissuto a Lauria tra il 1770 e il 1828, modello di sacerdozio per monsignor Antonio Cantisani.

Ne tratteggia la figura il rettore del Santuario, che è anche parrocchia di San Nicola, don Michelangelo Crocco.

Durante l’incontro, moderato dal giornalista Mario Lamboglia e organizzato dalla diocesi di Tursi-Lagonegro, dal Comune di Lauria, in collaborazione con la parrocchia e l’associazione “Magna Grecia-Palazzo Marangoni”, è anche intervenuto il sindaco Gianni Pittella, che ha ricordato il ruolo sociale di monsignor Cantisani e la sua attenzione ai migranti e ai poveri più poveri.

Cantisani è stato presidente della Commissione episcopale per le migrazioni della Conferenza episcopale italiana prima dal 1985 al 1990, poi dal 1990 al 1995. Nel 1990 è stato inoltre nominato consultore del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti.

La famiglia

Presente pure l’architetto Marilena Cantisani, nipote dell’arcivescovo Antonio Cantisani, che ha espresso la gratitudine della famiglia per il ricordo premuroso di tanti.

Nicola Fiorita, sindaco di Catanzaro, ha inviato un messaggio di condivisione dell’iniziativa a memoria di un uomo, che lauriota per natali, ha saputo diventare anche catanzarese tra i catanzaresi.

da sinistra architetto Marilena Cantisani, il giornalista Mario Lamboglia, l’arcivescovo Claudio Maniago e il vescovo Vincenzo Orofino

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