Appunti social: dagli incunaboli alle app

Dagli incunaboli, versione 2.0 dei manoscritti, alle app, anticamera oggi delle tecnologie che aprono la navigazione nei mari sconfinati dell’intelligenza artificiale, la Chiesa prosegue il suo viaggio.
Foto Sir

Cambia la nave, non cambia la destinazione, che è l’annuncio della ‘buona notizia’.

Nato da una famiglia di contadini nel Sülchgau, nei pressi dell’attuale Rottenburg am Neckar in Germania, entra giovanissimo nel monastero benedettino di Reichenau in Svizzera, dove studia e riceve l’ordinazione presbiterale. Diviene insegnante nei pressi di Zurigo, ma in realtà Meinrad sognava una vita di preghiera e di solitudine. E così i suoi superiori acconsentono il suo passaggio alla vita eremitica. Lui inizia a vivere nella vicina foresta. La gente ne ammirava l’austerità e l’ascetismo.

Se fossimo ai giorni nostri, si potrebbe tranquillamente dire che le storie legate alla sua scelta di vita erano diventate così virali da attirare attorno alla sua persona un gran numero di follower.

Non siamo però nell’era dei social, ma nella prima metà del IX secolo. E Meinrad non era a caccia di follower. L’attenzione e il via vai di persone che volevano incontrarlo, lo spingono a trasferirsi in un luogo ancora più isolato, nei pressi di Einsiedeln, dove rimane per 25 anni, fino alla morte. Una morte violenta di cui si sono interessate le cronache del tempo.

Il 21 gennaio 861 due briganti, convinti che l’eremita – che godeva di fama di santità – nascondesse un tesoro, andarono a trovarlo. Ai due, che si erano presentati come dei pellegrini, Meinrad aveva riservato una cortese accoglienza. Ma quando i due capiscono che il vagheggiato tesoro non esiste, furiosi di rabbia bastonano l’eremita a morte per poi darsi alla fuga. La leggenda vuole che sulle loro tracce si siano messi subito due corvi, riconoscenti verso Menirad per averli salvati qualche tempo prima da un rapace.

Un lungo volo fino a Zurigo, dove gracchiando a pieni polmoni avvertono le autorità, che catturarono i briganti, condannati poi al rogo. Quarant’anni dopo un altro benedettino di nome Benno, decide di andare ad abitare nell’eremo di Einsiedeln, dando così vita ad un monastero ancora oggi fiorente.

Nella grande biblioteca dell’abbazia, sui cui scaffali sono custoditi oltre 230 mila volumi, c’è una piccola scatola di cartone grigio. Al suo interno è custodito un vero e proprio tesoro: un incunabolo – avvolto oggi da una pellicola di plastica per proteggerlo dagli effetti dei cambi di temperatura e umidità – un libretto di dimensioni sorprendentemente piccole, dalla copertina bianca, in cui sono raccolte 64 illustrazioni che raccontano la vita e l’assassinio di Meinrad. Autore di questo gioiello è il “Maestro della leggenda di Meinrad”.

Così viene ricordato nei secoli chi con puntualità e precisione diede vita sulla carta ai racconti tramandati fino ad allora a voce. La prima edizione dell’incunabolo è del 1466. Questa prima edizione non si è conservata. Ma a noi sono giunte due edizioni successive, una in latino e una in tedesco, conservate nell’abbazia di Einsiedeln e nella biblioteca di corte di Monaco. È grazie a questo libricino e ai suoi disegni, che ancora oggi conservano la freschezza dei loro colori e dei loro tratti, che noi oggi conosciamo la vicenda del santo.

Le sequenze di immagini in cui il santo eremita viene picchiato a morte dai due criminali Peter e Richart, così come le scene raccapriccianti dell’esecuzione dei due assassini a Zurigo sono rappresentate in modo particolarmente vivido. Oggi potremmo parlare di un giallo medievale, fatto di testi e immagini.

Nell’era di internet e dei social media, l’incunabolo di Meinrad – che potremmo definire come una forma ante litteram dei moderni fumetti – ha fatto parlare di sé su internet e Fb, facendo capolino tra meme e stories, proprio perché quest’anno la festa del santo fondatore di Einsiedeln è venuta a cadere di domenica e, per questo, è stata celebrata in maniera particolarmente solenne.

Ci spostiamo fisicamente di circa 750 km – ma sulla stringa di un motore di ricerca bastano una manciata di caratteri digitati sulla tastiera – e arriviamo a Vienna.

Dall’abbazia benedettina di Einsiedeln a quella di Heiligenkreuz dove i monaci cistercensi, alla vigilia della “domenica della Parola” annunciano su Fb il loro ingresso ufficiale in “Hallow”. Curano il “Mönchsminute” (il minuto del monaco), che quotidianamente ospita la lettura e un breve commento del Vangelo del giorno. Una componente fissa della app, che ora è stata lanciata anche nella versione in lingua tedesca.

“Ogni giorno feriale c’è un ‘Mönchsminute’ – si legge sulla pagina Fb del monastero – in cui uno di noi legge e interpreta il Vangelo del giorno”. L’applicazione, che è assai diffusa nei Paesi anglofoni, è caldamente raccomandata dai cistercensi. Dicono che aiuti migliaia di utenti a condurre una vita di preghiera più regolare e ad approfondire la loro fede, oltre a fornire molte ispirazioni per la preghiera, musica spirituale e riflessioni.

“Hallow” è oggi l’app di preghiera cristiana più utilizzata al mondo.

Al centro c’è un database che ha già raggiunto diverse migliaia di voci, tra cui preghiere audioguidate, meditazioni e corsi, nonché una Bibbia audio e musica cristiana e meditativa. I gestori della app affermano che il loro obiettivo è quello di “aiutare il mondo a trovare la pace, a dormire serenamente e ad avvicinarsi a Dio”.

I monaci di Helingenkreuz, che sono già famosi per il loro Cd “Chant”, entrano a far parte della squadra di collaboratori – alcuni anche famosi – che curano e preparano i contributi messi a disposizione degli utenti.

Dagli incunaboli, versione 2.0 dei manoscritti, alle app, anticamera oggi delle tecnologie che aprono la navigazione nei mari sconfinati dell’intelligenza artificiale, la Chiesa prosegue il suo viaggio. Cambia la nave, non cambia la destinazione, che è l’annuncio della ‘buona notizia’. Così come non cambia lo stile di navigazione, che rimane sempre incentrato su una comunicazione pienamente umana, che punta a trasmettere anche attraverso le moderne tecnologie, il calore che solo la comunicazione tra persone può dare.

Irene Argentiero

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