«Pace a voi!». Il Risorto porta pace a tutti. Sono le prime parole che Gesù dice rivolgendosi agli Apostoli riuniti nel Cenacolo. Sapeva benissimo che quegli amici, quei fratelli, avevano il cuore trepidante e carico di paure. Avevano bisogno di pace, di dare un senso a quanto accaduto, di essere incoraggiati a proseguire la propria missione e ritrovare la speranza che rischiavano di smarrire. La croce aveva segnato tutti. Il trono di amore scelto dal Cristo non era quello immaginato dai discepoli. Ma il Risorto ritorna e consola. Non abbandona.
«Pace a voi!» lo ripete ancora oggi a tutti noi. Credenti e non credenti, santi e peccatori, uomini e donne di tutti i giorni. Un messaggio che ci affida affinché risuoni e diventi tangibile nelle nostre comunità, nelle nostre città, nei luoghi di lavoro, nelle famiglie, in ognuno di noi. Abbiamo bisogno di pace. Lo ripetiamo continuamente, ma non facciamo abbastanza. Sventoliamo bandiere in piazza. Ci arrabbiamo. Indigniamo. Prendiamo le parti di uno e ci scagliamo contro l’altro. Sfoggiamo arcobaleni. Interpretiamo a seconda dei gusti ogni dichiarazione pubblica. Per cosa? Per chi? Perché gli altri facciano pace.
Solo gli altri? E noi? Noi non dobbiamo fare pace? Non abbiamo bisogno di pace? Sì! Ne abbiamo bisogno, tanto bisogno, ma abbiamo paura di dircelo. Se lo facessimo dovremmo denudarci, fare i conti con le nostre debolezze, le nostre mancanze, le nostre miserie. Più facile chiedere la pace per gli altri, soggiogati al potere del più forte, ingabbiati nelle apparenze, vittime consapevoli degli algoritmi della Silicon Valley.
La pace per noi presupporrebbe una catarsi, un confronto con sé stessi, un ritrovarsi.
Allo stesso tempo chiederebbe di tendere la mano al compagno o alla compagna; al genitore che avrà pure commesso qualche errore, ma ci ha fatto il dono più grande: la vita; al figlio che dopo il rimprovero attende un sorriso per far risplendere l’amore; al collega che proprio non sopporti; all’amico che c’è anche quando non è presente. Bello da dire, difficile da fare. È una chiamata all’amore a cui ognuno risponde come crede e come vuole. Se vogliamo la pace – che non è un farsi sopraffare o un arrendersi senza dignità – dobbiamo essere pronti a rispondere a quella voce.
«Per chi ha la fede è una dimensione che parte da Dio, per chi non ce l’ha c’è la voce e basta. Una voce da accudire per non perderla nei bivi della vita complicati. È una dimensione antropologica, non solo teologica. L’homo sapiens è un animale capace di vocazione, che sa rispondere a una voce, consapevole che attorno a questa risposta si giocano tante delle cose più importanti quando si fa il bilancio della vita», ha detto l’economista Luigino Bruni lo scorso 14 marzo durante un incontro a Napoli.
L’auspicio per questa Pasqua è che tutti si riscoprano capaci di rispondere alla “voce” non per ribattere urlando, ma per testimoniare con la vita: «Pace anche a te!».
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