“Quando a colui ch’a tanto ben sortillo
piacque di trarlo suso a la mercede
ch’el meritò ne suo farsi pupillo,
a’ frati suoi, sì com’a giuste rende,
raccomandò la donna sua più cara,
e comandò che l’amassero a fede;
e del suo grembo l’anima preclara
muover si volle, tornando al suo regno,
e al suo corpo non volle altra bara”. (Par. XI, 110-117)
Così il nostro massimo Poeta descrive la morte del Padre San Francesco, il cui ottavo centenario inizia proprio il 4 ottobre di quest’anno (1226-2026) per concludersi l’anno prossimo. Una buona occasione per meditare, magari nel prossimo numero di novembre del nostro giornale diocesano, su “Sorella Morte” come Lui stesso la chiama nell’ultima strofa del Cantico di Frate Sole.
Nella “Lettera enciclica di Frate Elia a tutte le Province dell’Ordine sulla morte di San Francesco”, il primo successore di san Francesco alla guida della fraternità francescana afferma: «Ed ora vi annuncio una grande gioia, uno straordinario miracolo. Non si è udito al mondo un portento simile, fuorché nel Figlio di Dio, che è Cristo Signore. Qualche tempo prima della sua morte, il fratello e padre nostro apparve crocifisso, portando impresse nel suo corpo le cinque piaghe, che sono veramente le stigmate di Cristo. Le mani e i piedi di lui erano trafitti come da chiodi penetrati dall’una e dall’altra parte, e avevano cicatrici dal colore nero dei chiodi. Il suo fianco appariva trafitto da una lancia, ed emetteva spesso gocciole di sangue. Mentre era in vita aveva aspetto dimesso e non c’era bellezza nel suo volto: non era rimasto in lui membro che non fosse straziato. Ma, dopo la morte, il suo volto si fece bellissimo, splendente di mirabile candore e consolante a vedersi. Le membra, prima rigide, divennero flessibili e pieghevoli qua e là, come si volevano disporre, a guisa di un tenero fanciullo».
Una descrizione così precisa di un testimone oculare – frate Elia – che ci trasmette un misto di tristezza per la morte del Padre ma di meraviglia per il prodigio delle Stimmate. Tutto questo ad Assisi, presso la Porziuncola, là dove tutto è nato e dove il Poverello volle vivere il suo Transito, nudo sulla nuda terra.
Il Centenario sarà occasione per approfondire ancora di più la figura straordinaria del “più santo degli italiani e il più italiano dei santi”, secondo la celebre espressione di Vincenzo Gioberti.
Facciamo nostra allora l’ammonizione che conclude la lettera di frate Elia: «Custodite il ricordo del padre e fratello nostro Francesco, a lode e gloria di Colui che lo ha reso grande tra gli uomini, e lo ha glorificato tra gli angeli. Pregate per lui, come egli medesimo ci ha chiesto prima di morire, e invocatelo, perché Dio renda anche noi partecipi con lui della sua santa grazia. Amen».
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