Le dichiarazioni di Donald Trump, secondo cui l’uso di paracetamolo in gravidanza sarebbe collegato all’autismo nei bambini, ha sollevato un acceso dibattito. Le sue affermazioni, prive di solide basi scientifiche, hanno però alimentato timori ingiustificati.
La comunità scientifica ha risposto con chiarezza: ad oggi non esiste alcuna evidenza conclusiva che il paracetamolo, impiegato correttamente durante la gestazione, aumenti il rischio di autismo.
Grandi studi epidemiologici, come una ricerca svedese condotta su oltre due milioni di bambini, non hanno rilevato associazioni significative con disturbi dello spettro autistico né con deficit di attenzione. Anche quando in passato sono emerse correlazioni deboli, queste si sono ridimensionate una volta considerati i fattori confondenti, come le condizioni che hanno portato la madre ad assumere il farmaco.
Le principali autorità regolatorie, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità all’Agenzia Europea dei Medicinali, confermano che il paracetamolo rimane tra i farmaci più sicuri per controllare febbre e dolore in gravidanza, purché usato a dosaggi appropriati e per il tempo strettamente necessario.
Attribuire al paracetamolo responsabilità non dimostrate rischia di spingere le future madri a rinunciare a un trattamento utile, esponendole invece alle conseguenze di febbri non controllate. Le cure in gravidanza devono basarsi su dati scientifici, non su dichiarazioni politiche. La medicina ha il compito di rassicurare: non vi è alcuna prova che colleghi paracetamolo e autismo.


