Dopo le elezioni

Maggioranza e opposizione continuano a soccombere nel confronto con quello che si conferma il primo partito in ogni consultazione: l’astensionismo
25 settembre
Palazzo Montecitorio Parlamento – foto SIR/Marco Calvarese

A dispetto delle convulsioni quotidiane del dibattito pubblico, la politica italiana appare sostanzialmente cristallizzata. Nessuna sorpresa dal primo passaggio di un autunno elettorale che a questo punto potrebbe risolversi in una conferma delle situazioni di partenza e in un pareggio – per quanto questa terminologia calcistica sia utilizzabile in campo politico – tra gli schieramenti che a livello nazionale costituiscono maggioranza e opposizione.

Il voto nelle Marche, infatti, era considerato l’unico con un minimo margine di incertezza, anche se a dire il vero i sondaggi delle ultime settimane indicavano in modo univoco un bis del “governatore” di Fratelli d’Italia. Però in precedenza la Regione si era mostrata contendibile e il “campo largo” aveva accarezzato la speranza di riconquistare la leadership perduta. Quindi il risultato di conferma ha legittimamente un gusto di vittoria per la maggioranza di governo e di sconfitta per le opposizioni.

Con una sottolineatura interna alla coalizione espressiva dell’esecutivo nazionale: si tratta soprattutto di un successo di Giorgia Meloni che considera le Marche una sorta di laboratorio politico e la punta di diamante locale del suo progetto.

Ora ci sarà da capire se il risultato marchigiano avrà qualche ripercussione sulle scelte che il centro-destra o destra-centro andrà compiere nelle altre Regioni chiamate alle urne. I nodi da sciogliere sono piuttosto intricati.

Lo stesso vale ovviamente anche per lo schieramento opposto, ancora alla ricerca di una strada che gli consenta di recuperare posizioni laddove non c’è un radicamento forte e consolidato.
Maggioranza e opposizione, comunque, continuano a soccombere nel confronto con quello che si conferma il primo partito in ogni consultazione: l’astensionismo.

Rispetto al 2020, nelle Marche l’affluenza alle urne è diminuita di una decina di punti percentuali e in pratica un elettore su due non è andato a votare. E sì che erano attivi quei fattori che solitamente vengono valutati come suscettibili di incoraggiare la partecipazione: un sistema elettorale che consente ai cittadini di scegliere e incidere direttamente, un risultato non scontato in partenza, candidati ben conosciuti sul territorio (Francesco Acquaroli era il presidente uscente, Matteo Ricci è stato sindaco di Pesaro).

Fattori che conservano la loro rilevanza – se ben interpretati – ma che evidentemente non bastano. C’è un problema complessivo di credibilità della politica che non può essere affrontato a intermittenza, tra una tornata di voto e l’altra. E’ un problema ancora più grave che in passato perché le democrazie – e la nostra non fa eccezione – sono sotto tiro come non mai. E senza partecipazione non ci sono difese che tengano.

Stefano De Martis

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