Devozione popolare: un patrimonio vivo

Dalle processioni ai fuochi, dalle icone salvate alla Madonna delle Galline: un viaggio tra fede, cultura e identità collettiva che rende sacro il quotidiano e custodisce la memoria di un territorio.

La devozione, l’adesione agli aspetti spirituali del culto, ha assunto nel tempo forme popolari di espressione che, in alcuni periodi della storia di un territorio, riconducono a caratteristiche simili tanto da definire alcune comunità legandole ad un profondo senso di appartenenza.

La conoscenza attuale di quel coacervo multiforme di manifestazioni della devozione popolare, che oggi conosciamo e spesso definiamo in maniera generica “tradizioni popolari”, attira sempre di più l’attenzione degli studiosi e anima un’importante riflessione, anche nel mondo ecclesiale.

Nel novembre del 2023, a Napoli si è tenuta una conferenza internazionale per riflettere sul futuro della Convenzione UNESCO relativa alla protezione del Patrimonio Culturale Immateriale. Tale ricchezza è stata definita come lo Spirito di Napoli.

Uno spirito che pervade anche il nostro territorio, che in questo periodo dell’anno, carico di forti rimandi ancestrali legati ai cicli della terra, vede in processione per le strade delle nostre comunità un gran numero di icone sacre.

Il fatto è che in questa terra di passaggio la storia del cristianesimo inizia molto presto, probabilmente in virtù dell’importanza strategica del luogo e della complessità delle comunità che vi hanno abitato e che ne hanno condiviso le vicende storiche.

Santi e Madonne sono venerati dal popolo che li omaggia con una grande profusione di addobbi floreali, luci colorate e scintillanti, fuochi pirotecnici. Questa ritualità che conserva da migliaia di anni la profonda necessità di scacciare simbolicamente il male – ad esempio attraverso il rumore delle cosiddette “batterie” – è diventata nel tempo l’oggetto tangibile di una fede radicata, anche se non sempre matura, che periodicamente si ripropone nel vestito bello della festa.

Tutto questo ha un significato anche dal punto di vista della conservazione dei beni culturali: chiese, in alcuni casi piccole cappelle rurali, icone sacre. Quest’attaccamento devozionale e il senso di reciproca appartenenza che da esso è derivato è stato l’unica possibilità che alcuni splendidi manufatti hanno avuto di arrivare fino a noi. Il rapporto quasi personale con le icone sacre ha sfidato il tempo e ha contribuito a salvare opere di incommensurabile bellezza dalla furia delle guerre, delle invasioni e delle confische.

Questa fortunata sorte è toccata fra gli altri al settecentesco busto argenteo di san Prisco, patrono di Nocera Inferiore e della Diocesi, all’antichissima scultura in legno dorato del patrono di Angri san Giovanni Battista o all’icona di sant’Alfonso Maria de Liguori, che torna in processione ogni quarto di secolo in occasione del Giubileo. Passando per un gran numero di santi e sante, protettori di paesi e contrade fino ad arrivare al dolce volto della mamma di Cristo nelle diverse declinazioni mariane.

Una fra tutte la Vergine del Carmelo, detta “Madonna delle Galline”. Il contesto paganese meglio di altri luoghi condensa il senso stesso della festa popolare. Antropologicamente definita performance culturale essa esprime, in realtà, il senso di un amore profondo e viscerale che con un linguaggio estetico affidato a varie forme d’arte – la musica, il canto, il ballo, la costruzione dei toselli, le luminarie – appartiene innanzitutto al contesto della fede. Vi appartiene in quanto ogni espressione popolare di devozione non è solo un insieme di gesti strutturati e reiterati nel tempo ma andrebbe vista nel suo complesso come una preghiera corale che, in quanto tale, rimanda più alla categoria dell’amore filiale che non ad altro.

In questo senso ritengo la festa della Madonna delle Galline l’apice di quest’amore: l’amore dei figli per la mamma, vogliosi di uno sguardo, di una carezza che sia di sollievo alle fatiche della vita.

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