L’elezione di papa Leone XIV ha riportato al centro del dibattito il tema della pace, declinato non solo come assenza di conflitto, ma come armonia e ordine. Una visione che invita al dialogo, alla costruzione di ponti e alla riconciliazione, temi cari a sant’Agostino.
Aspetti approfonditi da Luigi Alici, filosofo e docente, studioso del pensiero agostiniano. «Il modo in cui il nuovo Papa si è presentato evoca immediatamente un orizzonte pasquale, cristologico, profondamente teologico. Eppure, si può facilmente intravedere un retroterra agostiniano nella sua sensibilità».
In che senso?
«Nel pensiero del vescovo di Ippona, in particolare nel libro XIX de La città di Dio, la pace non è intesa semplicemente come assenza di guerra, ma come “tranquillità dell’ordine”, condizione positiva e armoniosa dell’essere. La pace è per questo il punto di incontro tra credenti e non credenti, un orizzonte di dialogo autentico che accomuna tutti. Se la pace storica e mondana, per un pagano, è il traguardo ultimo, per un cristiano è una sorta di “bene penultimo”, punto di partenza per annunciare una pace più grande, di natura escatologica. C’è dunque un punto di contatto che interpella e responsabilizza tutti».
Come si può attualizzare il pensiero di Agostino?
«Agostino viveva in un’epoca storica che, pur nella sua distanza irripetibile, presenta molte analogie con la nostra. Un’epoca in cui la pace era non solo sistematicamente minacciata, ma, proprio come oggi, chi faceva una scelta di guerra ne cercava anche torbide giustificazioni religiose. Questo elemento inquietava Agostino allora, come inquieta anche noi oggi come credenti».
Perché il libro XIX de La città di Dio viene chiamato “il libro della pace”?
«Agostino considera la pace come un principio positivo, in cui si riflette l’orientamento ordinato della creazione, affidato alla libera iniziativa della persona umana e dei popoli nella storia. L’appartenenza alle due città corrisponde a due diversi modi di amare: un amore disordinato e conflittuale identifica la “città di terra”, che non ha futuro, mentre l’amore ordinato della città di Dio, pellegrina nella storia, contiene una promessa di risurrezione eterna nella città celeste».
Il Papa ha parlato di “ponti di pace”.
«Una metafora particolarmente significativa nel pensiero agostiniano. Per Agostino, la pace è un ponte tra mondi diversi: pagani e cristiani, poveri e ricchi, oppressi e potenti. Questo dialogo non si esaurisce in una semplice mediazione, ma rappresenta un’autentica costruzione di relazioni ispirate alla concordia, che scaturisce dal battito all’unisono dei cuori di tutti. È un principio che si estende dal microcosmo familiare e sociale fino al macrocosmo della politica e delle relazioni tra i popoli e gli Stati».
L’approccio dei «ponti di pace» può davvero fare la differenza?
«Ogni gesto di pace non va interpretato solo come punto di arrivo, bensì come seme da proteggere e coltivare con cura: per la sua crescita dobbiamo fare tutti la nostra parte, con la preghiera e l’impegno, in un equilibrio dinamico di azione e contemplazione. Il messaggio agostiniano ci ricorda che la pace non è solo un affare geopolitico, ma attraversa il cuore dell’uomo, dove cominciano i conflitti e le guerre. Non possiamo separare la sfera privata da quella pubblica. Pace significa rimettere in ordine il mondo degli affetti, nell’ordine delle relazioni “corte” e delle relazioni “lunghe”».
Come interpreta il passaggio ideale da Ignazio ad Agostino?
«Questa continuità armonica tra spiritualità diverse ma complementari testimonia una Chiesa capace di dialogare anche al suo interno, costruendo ponti tra sensibilità spirituali non incommensurabili. “Un poliedro”, avrebbe detto papa Francesco».
Riccardo Benotti
Iscriviti alla nostra newsletter per restare sempre aggiornato.
- Santa Maria del Carmine in festa
- Il primo Convegno della Pia Unione Ammalati
- Insieme – Luglio-Agosto 2025
- Natalità, serve una rivoluzione
- Hiroshima e Nagasaky 80 anni dopo. Il reportage di Marco Calvarese