Eravamo un bel gruppo di giovani della parrocchia, con la presenza di un parroco santo e delle suore educatrici.
L’aggregazione avveniva intorno alla Messa domenicale: i canti, la pulizia della chiesa, qualche gita o uscita, le varie attività che, di volta in volta, venivano proposte.
Man mano il gruppo crebbe per attrazione e per la capacità di alcuni di essere inventivi. Si vivevano insieme tante belle esperienze, che facevano comprendere agli altri che c’era un noi, un insieme capace di aiutare tanti io ad esprimersi e a vivere in comunità.
Uscite, passeggiate, giochi, momenti belli e difficili vissuti insieme, eravamo… la Chiesa in uscita, capace di parlare all’esterno e di essere attrattiva per gli altri.
Una sera, tornando dal lavoro dei campi, venne da noi una mamma a chiederci aiuto per il figlio unico che stava prendendo una strada non buona.
Lo conoscevamo e, nelle nostre uscite, lo vedevamo sempre un po’ ai margini e a rischio.
Cercammo una strategia, un’occasione per incontrarlo, e ne parlammo anche in parrocchia con il parroco e le suore.
L’occasione venne una sera d’estate quando due gruppi si stavano affrontando e venendo alle mani, in modo brusco, e tra questi giovani c’era anche lui. Intervenimmo come lievito e sale per mettere pace, e gli parlammo, quella sera e in altri momenti, mettendo anche l’accento sulla sofferenza della mamma, le sue lacrime di speranza.
Avevamo toccato le corde del cuore; cominciò a frequentarci e a conoscerci, e a far cadere tanti pregiudizi sulla Chiesa e, ribelle nel male, diventò generoso nel bene.
Cambiò, rivide la sua vita, le sue amicizie, e non ha smesso mai di dire che, in quella sera d’estate, aveva incontrato la speranza.
L’ho rivisto l’ultima volta in un letto d’ospedale, segnato da un male e quasi alla fine, ma nel suo sguardo brillava ancora un riflesso di speranza e di gratitudine.
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