Quello di Francesco è stato un pontificato globale che ha rimesso al centro le periferie, lasciando una preziosa eredità alla Chiesa e al mondo con la sua attenzione agli ultimi e a un modello di fede comunicata con uno stile nuovo, intriso di speranza e misericordia.
Primo papa gesuita e latino-americano, proiezione di un altro Occidente, papa Bergoglio, eletto il 13 marzo 2013 e morto il 21 aprile 2025, all’età di 88 anni, con la sua visione di Chiesa in uscita ha riscoperto temi pregnanti per aprire la religione cristiana al mondo e avvicinare il mondo alla Chiesa, come la cura del Creato, l’umiltà della testimonianza cristiana proiettata nelle opere concrete, prima che negli sterili intellettualismi, alla ricerca spasmodica di un cristianesimo credibile e coerente anche nella dimensione secolare.
Anche nella malattia, il Papa si è speso senza risparmiarsi e non bisogna meravigliarsi se la sua morte ha suscitato reazioni di cordoglio in tutto il mondo, proiettando nella comunità globale la sua statura morale, non solo come capo religioso, ma anche come capo di uno Stato “particolare” come la Santa Sede.
Il suo continuo e instancabile impegno per la pace ha riproposto il tema di una fede che non si allontana mai dai bisogni degli uomini, a difesa della dignità di ogni persona, al di là di ogni discriminazione di sesso, etnia o religione, non rinunciando ad intervenire anche su temi scottanti o di frontiera. Il suo stile di comunicazione essenziale, attento alla sostanza più che alla forma, ha creato un rapporto empatico con le masse popolari, suscitando grande attenzione anche tra i non credenti, rompendo schemi, luoghi comuni e tabù consolidati, che da sempre avevano rinunciato a confrontarsi con i valori cristiani nella vita di ogni giorno.
Ora la Chiesa è chiamata a valorizzare un pontificato che ha cambiato il rapporto tra essa stessa e il mondo, sulla scia del Concilio Vaticano II.
La Chiesa disegnata da Francesco non ha temuto, infatti, di caricare sulle proprie spalle la partecipazione e il coinvolgimento del divino nell’umano, superando la contrapposizione, spesso troppo artificiosa, tra dimensione religiosa e modernità. La fede diventa così un’esperienza esistenziale reale dell’amore di Dio per l’uomo, poiché il divino è reperibile nell’umano, emergendo nelle vicende esistenziali di ciascuno.
Da qui scaturisce l’umanizzazione della dimensione cristiana. La Chiesa divenuta «ospedale da campo» non dispensa soltanto giudizi, ma è il luogo dove ciascuno può ritrovare l’essenza vera della propria identità di persona, nel contesto ineludibile del rapporto fraterno con l’altro, perché nessuno può salvarsi da solo.
Giuseppe Palmisciano, Direttore Biblioteca e Archivio diocesano
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