Roscigno vecchia è un paese fantasma, abbandonato tra il 1908 e il 1960, in seguito ad una legge per i paesi a rischio frana.
Roscigno nuova è sorto poco a monte, in fretta e senza piano regolatore.
Roscigno vecchia, nonostante l’abbandono, non ha smesso mai di vivere, perché la sua gente passa ancora di là per andare ai campi.
Oggi, a causa dello spopolamento, anche la nuova Roscigno ha pochi abitanti. Ma Roscigno vecchia è sempre là, con la sua piazza, al cui centro domina la bella fontana del villaggio, l’antica chiesa dedicata a San Nicola; le sue mura sono le testimonianze di un mondo contadino e di un piccolo mondo antico, oggi museo.
Ci andai come parroco all’alba del mio sacerdozio, per un periodo breve ma intenso. A quel tempo nella vecchia Roscigno abitavano ancora due invisibili, un’anziana signora e la figlia, che non avevano voluto spostarsi al nuovo centro; erano là testimoni di un passato, e di un altro mondo, o di un mondo altro.
Erano là a coltivare la tela della speranza; aspettavano il ritorno della gente, degli altri paesani, icona insuperabile di chi, nonostante tutto, sa attraversare il nuovo coltivando il passato.
Quante volte, andando in quel luogo quasi deserto ma profondamente umano, ho ripetuto a me stesso: Beata solitudo, sola beatitudo!
Non siamo, forse, tutti in attesa di ritornare al vecchio paese, al paese delle origini, alla casa bianca dell’infanzia, alla città della Pasqua?
Coltiviamola ancora questa speranza, nonostante le calcificazioni e i congelamenti del tempo e dell’attimo presente, perché la città del cielo, la Gerusalemme che è nostra madre, ha una grande piazza tutta lastricata d’oro, e la notte su quella città non scenderà più perché sua lampada è l’Agnello.
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