Francesco, Yassine e Valentin: messi così questi nomi possono non dire nulla. Se però ci abbiniamo delle storie, si apre un mondo e ognuno diventa prezioso. Francesco è il pontefice che da poco abbiamo accompagnato verso l’eternità con la presenza e la preghiera a San Pietro e in ogni angolo del mondo.
Yassine è Yassine Bousenna, marocchino morto per un incidente sul lavoro in una azienda di Nocera Inferiore, scaricato come un pacco davanti al Pronto soccorso dell’ospedale Umberto I. Valentin è Valentin Jegorov, per sette anni aveva scelto di approfondire la sua vocazione nella Fraternità di Emmaus, ritornato in patria si era sposato ma chiamato in battaglia è morto al fronte. Tre uomini, tre persone che all’apparenza non hanno nulla in comune, ma che sono legati indissolubilmente alla domanda di dignità, pace e salvezza che riecheggia, inascoltata, nel mondo.
Più si chiede dignità, pace e salvezza e più aumentano i morti sul lavoro, le vittime della tratta e delle migrazioni, più si accendono le guerre e meno salvezza sembra prospettarsi all’orizzonte. Perdere papa Francesco disorienta la Chiesa e non solo. L’unico che continuava a vivere per la pace e la dignità, per la misericordia e la carità, sempre accanto agli ultimi, che con coraggio ha mostrato come si serve Cristo nel prossimo.
La storia di Yassine è uno schiaffo alla coscienza dell’umanità: si sa che è nato a Casablanca il 28 agosto del 2007 ed è morto a Nocera Inferiore l’11 aprile 2025, nulla più. Scampato alla grande traversata, è caduto in una fabbrica. La sua esistenza coniuga due drammi del nostro tempo: la ferocia delle migrazioni e la piaga del lavoro nero.
Valentin è vittima della pace non realizzata. Lui cercava Dio, ha iniziato il cammino per diventare sacerdote. Ad un certo punto della vita ha deciso di tornare in Ucraina dove c’era la madre malata, anziana, e una terra a cui era legato. Si era sposato l’11 ottobre 2024. Il 29 aprile scorso i familiari hanno riconosciuto il suo corpo esamine, ennesima vittima di una guerra fratricida tra russi e ucraini.
Quante ferite! Verrebbe voglia di lasciare tutto e tutti. «La fede permette di piangere, ma non di disperare», ci ha ripetuto il vescovo monsignor Giuseppe Giudice. Se crediamo dobbiamo ripartire da qui.
Un grande del Novecento, il poeta Mario Luzi, ci porta con i piedi per terra: «Bisogna rientrare nel vivente, nell’innocenza e nella forza del vivente. Con tutto quello che vediamo di orribile, il vivente è qualcosa che supera tutto. La sofferenza è un pedaggio che dobbiamo pagare per essere presenti nella vita, per essere nell’essere».
Entriamo nel vivente per ritrovare la forza per continuare a vivere perché trionfino dignità, pace e salvezza; proseguire sulle orme di Francesco; ottenere verità e giustizia per Yassine; veder trionfare la pace per cui è morto Valentin.
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