Circa quindici anni fa, nelle pagine introduttive del suo libro, Don Enrico Smaldone, l’audacia della carità, dedicato alla ricostruzione della vita e alle opere dell’illustre sacerdote angrese, Silvio Longobardi scriveva: “A distanza di più di quarant’anni dalla sua morte la sua vita e la sua opera non sono state ancora adeguatamente esplorate, non hanno ancora trovato qualcuno che si sobbarcasse alla fatica di compiere quel lavoro di scavo per far emergere la testimonianza luminosa lasciata dal prete angrese”.
Don Silvio pubblicava lettere e appunti personali di don Enrico, indagando l’approccio pedagogico della storia, ricostruendo attraverso testimonianze dirette – dal ‘vivo’ – il contesto sociale a cui egli apparteneva e lanciando l’auspicio che il suo magistero, il suo spirito di carità fossero diffusi sempre di più tra le nuove generazioni.
Per la verità, già un ventennio prima monsignor Vassalluzzo, vicario generale della Diocesi Nocera Inferiore-Sarno, aveva pubblicato un volume dal titolo Alba e tramonto nel giardino di don Enrico, in cui l’illustre studioso tracciava un profilo biografico dettagliato della vita e dell’opera di Smaldone, nel tentativo, riuscito, di riportare alla luce una figura fondamentale della storia, non solo religiosa, della nostra Diocesi.
Il testo sottolineava la figura di sacerdote e pedagogista visionario, colui che aveva fondato la Città dei Ragazzi ad Angri con l’obiettivo di offrire ai fanciulli del posto un ambiente in cui crescere, apprendere e sviluppare le proprie potenzialità in un clima accogliente e solidale. Un progetto, per il nostro agro nocerino che usciva dagli “anni bui” del secondo conflitto mondiale, innovativo, fondato sulla centralità dei giovani e sull’importanza dell’educazione come strumento di riscatto sociale.
Da questi due testi fondamentali, ad oggi, per fortuna ne è passata acqua sotto i ponti! La personalità e lo spessore umano e culturale di Don Enrico sono transitati sotto la lente d’ingrandimento (o meglio, la penna) di altri studiosi che hanno ‘speso’ le loro fatiche a illustrare la figura e la ‘creatura’ del sacerdote angrese. Penso a Maria Rossi con i romanzi Lumascuro. Il prete della città dei ragazzie EstoteParati e sul lato più strettamente pedagogico ai lavori di Filippo Toriello.
Una tappa fondamentale è stata, infine, l’apertura della causa di beatificazione di don Enrico, presentata nel 2020 da mons. Giuseppe Giudice, vescovo della nostra Diocesi, con la pubblicazione dell’editto il 18 dicembre del 2020 e l’insediamento del Tribunale per le Cause dei Santi il 13 luglio del 2021, nel giorno dell’anniversario di ordinazione sacerdotale del presbitero, ad Angri negli spazi dell’ex Citta dei Ragazzi, oggi “Cittadella don Enrico Smaldone”.
Una delle questioni più dibattute e irrisolte relative al pensiero, all’opera e alle pratiche educative del Nostro riguarda la sua eredità.
Cosa ha lasciato il prete angrese? Quali effetti ha generato il suo sforzo educativo e pastorale? In altre parole, esistono metodi e buone prassi che possono essere attualizzate? Vi sono o vi sono stati eredi del suo pensiero in ambito sociale, teologico o pedagogico?
La questione è complessa e di non facile soluzione e per questo motivo anche il mondo accademico ha voluto indagare la prospettiva ‘pedagogica’ della sua opera, partendo dallo sguardo con cui don Enrico osserva e si fa interrogare dai bisogni, dalle esigenze e dalla cultura popolare dei poveri e degli emarginati. Allo stesso modo, gli articoli e le lettere che compongono la sua opera non presentano un metodo di apprendimento che può essere esportato in altri contesti e nemmeno un’idea di scuola organica e strutturata, che può offrire spunti per insegnanti ed educatori futuri.
Con questo spirito è nata l’idea, da parte del professore Giovanni Savarese, titolare di Storia della Pedagogia del Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione presso l’Università degli Studi di Salerno, coadiuvato dalla sottoscritta, di assegnare alla studentessa Deborah Desiderio, angrese, una tesi di Laurea dal titolo significativo L’avventura pedagogica di don Enrico Smaldone.
Cosa vi può essere, quindi, di pedagogico nell’opera del Servo di Dio angrese? Come è stato osservato dai suoi biografi e studiosi, la sua prospettiva educativa ambisce a modificare l’esistenza dell’ingiustizia sociale, della povertà, dell’abbandono scolastico e culturale, dell’emarginazione di numerosi esseri umani, a cui don Enrico dedica le sue attenzioni educative e spirituali. La cultura che intende promuovere, come brillantemente suggerisce Filippo Toriello nel suo studio dal titolo Per una pedagogia del lifelong learning, L’eutopia pedagogica di don Enrico Smaldone e la sua passione educativa,per i giovani del popolo, è quella della formazione continua, che cresce e si alimenta investendo anche lo spazio civile e cittadino.
Smaldone, come il più noto don Milani, parte dall’esperienza valorizzandola e si allontana da forme di sapere astratto. Come il prete di Barbiana, con cui condivide l’anno della morte, egli comincia dall’esperienza e dalla vita specifica degli educandi per far emergere ciò che considera la cultura concreta delle persone che appartengono al popolo.
Questa iniziativa è solo la prima di una collaborazione che vedrà la sottoscritta e il professore Savarese impegnati, con l’ausilio indispensabile del professore Giuseppe Palmisciano, nello studio di documenti e atti per una ricostruzione storico-pedagogica di maestri ed educatori della nostra gloriosa e illustre Diocesi.
Fabiana Esposito
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