È entrata in vigore il 9 gennaio scorso la nuova Ratio nationalis per la formazione dei presbiteri, documento che contiene gli orientamenti e le norme per l’organizzazione degli studi e delle altre attività formative nei seminari italiani. Si tratta di un documento che ha avuto una lunga “gestazione”, conclusasi con l’approvazione ottenuta nel novembre 2023 durante la 78a assemblea generale della CEI e la conferma della Santa Sede con decreto del Dicastero per il clero.
Ad illustrarci le novità apportate da questo documento è don Francesco Maria Cerqua, rettore del seminario arcivescovile di Napoli “Ascalesi”.
Don Francesco, quali motivazioni hanno reso necessaria l’adozione di una nuova Ratio per la formazione dei presbiteri italiani?
«Potremmo dire che ci sono una “motivazione prossima” e una “motivazione remota” che hanno condotto alla pubblicazione di una Ratio nationalis. La motivazione prossima è nella necessità di adattare la Ratio italiana, la cui ultima edizione risaliva al 2006,a quella universale, intitolata “Il dono della vocazione presbiterale” e pubblicata nel 2016 dall’allora Congregazione per il clero. La motivazione remota, che poi è alla base anche della stesura della nuova Ratio della Congregazione così come di quella italiana, sta nel mutare dei tempi e delle condizioni umane, sociali e pedagogiche, che richiede di discernere nuovi percorsi formativi per meglio rispondere alle esigenze attuali».
Quali sono le principali novità?
«Innanzitutto, chiarirei che le novità vanno sempre in una sorta di continuità con quanto si è vissuto in passato, per cui direi che è più giusto parlare di accentuazione maggiore di alcuni elementi presenti in maniera più velata in precedenza. Insomma, una sorta di discontinuità nella continuità».
Quali sono quelle che meritano maggiore attenzione?
«Lo stretto collegamento con la formazione permanente, per aiutare a cogliere che il processo formativo è unico e dura tutta la vita; la categoria del discepolato permanente, per sottolineare come elemento fondamentale di qualsiasi consacrazione il legame con Gesù; la dimensione missionaria quale elemento essenziale del futuro ministero, urgente oramai anche in Italia».
Ci sono anche aspetti più “pratici”?
«Ne metterei in risalto tre: la scansione del percorso a tappe, più che ad anni, per evidenziare particolarmente gli obiettivi formativi graduali da raggiungere, con l’estensione del percorso complessivo ad 8 anni rispetto ai 7 precedenti; il pressante invito a proporre esperienze di stage pastorale durante il cammino, con la possibilità anche di interrompere gli studi e invitando negli ultimi anni a vivere tempi più prolungati fuori dal seminario in alcune comunità parrocchiali; il coinvolgimento sempre più forte e deciso di tutta la realtà ecclesiale nel cammino formativo, in modo particolare – oltre agli esperti come psicologi e psicoterapeuti – famiglie e donne».
Molti giornali ed agenzie hanno dato risonanza ad un unico aspetto: la posizione della Chiesa italiana nei confronti delle persone omosessuali che vorrebbero entrare in seminario. È effettivamente cambiato qualcosa?
«Come ha recentemente ribadito monsignor Stefano Manetti, vescovo di Fiesole e presidente della Commissione episcopale per il clero e la vita consacrata della CEI, non è corretto affermare semplicisticamente che le regole siano cambiate. Il dibattuto numero 44 della Ratio, infatti, oltre a confermare quanto già espresso a riguardo nel 2016 a livello universale, sottolinea il primato della persona che, soprattutto nella fase iniziale del cammino, è chiamata a fare chiarezza dentro se stessa, inglobando l’ambito dell’orientamento sessuale in un percorso integrale di maturità. Fedele alle indicazioni magisteriali e, al tempo stesso, rispettoso e delicato nei confronti del candidato, il formatore è chiamato a verificare nel seminarista “la capacità di accogliere come dono, di scegliere liberamente e vivere responsabilmente la castità nel celibato, […] sintesi di un atteggiamento che esprime il contrario del possesso” (Ratio, n. 44)».
Tra le possibili forme di collaborazione nell’opera formativa viene evidenziato il contributo delle figure femminili. Il seminario arcivescovile di Napoli come si colloca di fronte a questa prospettiva?
«Da sempre il nostro seminario ha cercato di essere attento al prezioso contributo che può venire alla formazione dalle donne; la presenza di una comunità di suore è stata motivata non tanto dalla gestione della casa, quanto piuttosto dall’espressione del tratto materno. Inoltre, varie volte sono stati affidati a donne incontri formativi ed anche la predicazione di alcuni ritiri. Pensando ai miei anni di formazione, ricordo con piacere la ricchezza della testimonianza della professoressa Ina Siviglia. Negli ultimi anni si è cercato di allargare il loro apporto, in modo particolare affidando a suor Annamaria Vitagliani, guida ignaziana riconosciuta a livello nazionale, la proposta degli Esercizi Spirituali nella Vita Ordinaria (EVO) e coinvolgendo attivamente nella formazione alcuni sposi cristiani, in vista anche di quella auspicata complementarità tra ordine e matrimonio».
Un recente studio sull’utilizzo dei social da parte dei seminaristi italiani evidenzia che l’88% dei candidati al sacerdozio ritiene che possano essere strumenti utili alla pastorale. Quali le potenzialità di questa iperconnessione?
«Ho letto i risultati di questo studio e devo dire che non mi stupiscono. A dirla tutta, mi verrebbe da dire: “Meno male!”. Tra le possibili potenzialità certamente c’è quella di riuscire a raggiungere chi è più lontano e magari non metterebbe mai piede in una parrocchia; inoltre, seguendo le leggi dei social, si sviluppa la capacità di rendere attrattivo l’annuncio, ricordando a noi stessi e agli altri che è innanzitutto bello e affascinante seguire Gesù; inoltre, si può cercare di rendere sempre più le comunità una famiglia, in cui tutti si sentono parte attiva, coinvolta e consapevole delle attività ecclesiali, tenendo tutti informati e protagonisti».
Potrebbero esserci dei rischi?
«Il rischio maggiore mi sembra possa essere quello di dimenticare il valore fondamentale dell’incontro personale, dell’ascolto empatico, del guardarsi negli occhi, del lavorare insieme gomito a gomito; potrebbe ingenerarsi anche un processo di maggiore fragilità, rendendo meno forti dinanzi alla complessità e alle fatiche della realtà. Ma sono fiducioso che i nostri giovani, seminaristi ma non solo, sapranno trovare la giusta misura, per rendere l’utilizzo dei social una ricchezza».
Uno dei temi sui quali la Chiesa si interroga è la crisi delle vocazioni. I numeri non rappresentano tutto, ma non possono essere comunque elusi. Cosa possono fare le nostre comunità per provare ad invertire questa tendenza?
«È vero, i numeri non dicono tutto, ma vanno tenuti in forte considerazione. Certamente la prima e fondamentale opera che le comunità possono fare è quella di pregare. Può sembrare una risposta banale, scontata, ma è Gesù stesso che ci invita a farlo: “Chiedete ed otterrete…pregate il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe”. Accanto alla preghiera, credo che sia fondamentale avviare una riflessione più profonda. In crisi sono non solo le vocazioni presbiterali, ma anche quelle matrimoniali e alla vita consacrata; più in generale potremmo dire che oggi è in crisi la capacità di orientarsi verso scelte definitive e poi compierle».
Occorre un cambio di paradigma?
«Probabilmente si tratta di riproporre in quella che è la pastorale ordinaria (catechesi, realtà associative, oratori) la proposta vocazionale ad ampio raggio, aiutando a riconoscere che la vita è risposta ad un amore donato, quello di Dio per noi, e che soltanto donandosi nell’amore è possibile essere pienamente felici, in qualsiasi vocazione questo avvenga. Credo infine che per riuscire ad operare questo sia importante rimettere al centro la pastorale familiare, dal momento che è nelle famiglie che si tramettono i valori autentici dell’amore e della fedeltà, e dunque anche della vocazione».
Il seminario
Attualmente il seminario arcivescovile “Ascalesi” di Napoli accoglie circa 50 persone tra seminaristi e giovani in discernimento vocazionale nella comunità propedeutica. Provengono dalle diocesi di: Napoli, Nocera Inferiore-Sarno, Vallo della Lucania, Campobasso-Boiano e Amalfi-Cava de’ Tirreni.
La comunità propedeutica accoglie anche giovani dell’arcidiocesi di Salerno-Campagna-Acerno. Presenti seminaristi anche di altre nazionalità provenienti da: Tanzania, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Colombia e Iran.
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