Teresa Manes: «Vi racconto il mio Andrea»

Intervista alla madre di Andrea Spezzacatena, autrice del libro a cui si ispira il film Il ragazzo dai pantaloni rosa, per affrontare temi come il dialogo tra genitori e figli, la lotta al bullismo e la prevenzione della violenza di genere
Teresa Manes – foto pagina FB Scuola media Galvani-Opromolla

Andrea Spezzacatena è un ragazzino che ha deciso di togliersi la vita a 15 anni perché vittima di bullismo e cyberbullismo. Una violenza scatenata da un pantalone rosa, che decise di indossare una mattina per andare a scuola. Si era stinto a causa di un lavaggio errato. Quel colore è diventato uno stigma, che ha portato Andrea ad essere oggetto di offese e maldicenze sia a scuola, che sui social network. Era stata addirittura creata una pagina Facebook, chiamata “Il ragazzo dai pantaloni rosa”, allo scopo di prendersi gioco di lui, rovinare la sua vita sociale e ferirlo nell’età dell’adolescenza, quando si è fragili e si comincia a formare la propria identità.

Andrea si tolse la vita il 20 novembre 2012. Solo dopo la sua morte la madre, Teresa Manes, scoprì i tormenti che lo attanagliavano. Li ha raccontati nel libro Andrea. Oltre il pantalone rosa. Un’opera che oggi ha ispirato il film Il ragazzo dai pantaloni rosa diretto da Margherita Ferri, con la sceneggiatura di Roberto Proia, e gli attori Claudia Pandolfi e Samuele Carrino nei panni di Teresa e Andrea. Una pellicola che negli ultimi mesi ha riscosso grande successo. Ma quel messaggio antiviolenza e bullismo Teresa Manes lo porta anche in giro, raccontando principalmente ai giovani e alle famiglie la propria testimonianza. Lo ha fatto anche ad Angri, incontrando gli studenti della scuola media Galvani-Opromolla.

La locandina del film

Teresa, lei ha sperimentato sulla sua pelle il dolore più grande: la perdita di un figlio. Durante l’incontro con gli studenti angresi ha detto: «La disperazione è la forza che mi spinge ad incontrare le persone». Quando ha maturato questa consapevolezza?

«Nel momento in cui ho letto le chat che mio figlio scambiava con i suoi compagni, negli interstizi di tutte quelle frasi ho percepito che c’era tanta inconsapevolezza. Questa serpeggia soprattutto nell’ambito della violenza verbale, che è la prima forma di violenza. Quindi, in quel momento, presa contezza di questo, mi sono chiesta, che posso fare? Ho considerato una sorta di dovere sociale mettermi in viaggio e raccontare una storia che si mantiene ricca di contenuti».

Mi ha colpito quando ha detto che lo stalker di suo figlio, che poi era un suo compagno di classe, non ha mai chiesto scusa. Penso che questo amplifichi ancora di più il dolore.

«Io credo che ognuno di noi abbia bisogno di percorrere una strada e di farlo con i suoi tempi. Sono fiduciosa di mio. Può essere che questo incontro si farà, anche se più in là».

Il perdono. La richiesta di perdono. Il perdono che lei potrebbe accordare. Tutto questo potrebbe aiutarla a vivere questa perdita?

«Non ho nulla da perdonare perché sono convinta dell’inconsapevolezza dell’agire che ha caratterizzato le condotte di questi ragazzi. Come fai ad essere arrabbiato contro qualcuno che non si è reso conto del male che poteva infliggere con quelle parole. Tuttavia, spero maturi una consapevolezza e, quindi, col senno del poi ritornino indietro sui propri passi in modo da essere migliori educatori domani».

Il rapporto tra genitori e figli. Quanto è importante parlare con i propri ragazzi? Perché poi è nella famiglia che si forma la coscienza del bambino, del giovane, del futuro adulto.

«Deve essere un dialogo aperto a tutti perché tutti dobbiamo farci carico di questa criticità, di questo fenomeno. Anche il film può essere uno strumento per la costruzione di un dialogo, per riprendere un cammino interrotto».

Dice che non ha avuto avvisaglie del disagio che suo figlio viveva. Alla luce di questa tragedia, si è chiesta come si poteva scorgere il disagio di Andrea?

«Attraverso il dialogo io non li ho colti, perché ho confuso il disagio scolastico e i brutti voti adducendo mie motivazioni: “Forse ha cambiato scuola, si deve ambientare, è una giornata storta”… Mio figlio aveva indossato la maschera, facendomi intendere che tutto andava bene. Quindi è importante avviare un dialogo. Occuparsi non soltanto dell’andamento scolastico, ma soprattutto delle relazioni sociali. Questo può essere un valido strumento per poter capire cosa accade nella vita dei nostri figli. Girato l’angolo, li perdiamo di vista e non sappiamo quello che fanno e vivono».

Chi ha visto il film si è commosso, emozionato. Ma bisogna andare oltre l’emotività, non trova?

«È uno strumento e come tutti gli strumenti devi continuare ad usarlo perché altrimenti il film, come il libro, come la testimonianza, finisce lì e rischiano di lasciare il tempo che trova. È chiaro che bisogna continuare a coltivare determinati temi. Noi piantiamo dei semi, ma vanno innaffiati. Perché l’iniziativa rischia di essere fine a sé stessa, può non generare una svolta. Vengono forniti comunque degli strumenti che ieri non c’erano. Oggi bisogna cogliere queste opportunità».

Violenza di genere. Se n’è parlato tanto e se ne parla sempre di più, ma come si passa dal dire all’agire?

«Con l’educazione al rispetto e l’abbattimento dei pregiudizi. Se rimaniamo vincolati ai cigolii e alle ruggini di sempre non riusciamo a fare il passo avanti decisivo verso un cambiamento culturale».

E la scuola può fare tanto.

«La scuola deve fare tanto».

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