È di non molti giorni fa la notizia di un grave episodio di violenza verificatosi presso una scuola media in provincia di Napoli, dove una docente di sostegno sarebbe stata aggredita da alcuni genitori di alunni che, a loro avviso, avrebbero subito molestie almeno verbali, come dimostrerebbero alcune chat.
Si tratta di un caso limite, ma, al di là del merito, nella sua matrice non del tutto isolato e che invita a domandarsi quale sia oggi la qualità del cosiddetto patto educativo che vige fra l’istituzione scolastica e le famiglie. Spesso, negli ultimi anni, abbiamo anche ironizzato su tale questione: di fronte ad un brutto voto, oggi i genitori invece di rimproverare i propri figli e spronarli a studiare meglio o applicarsi maggiormente, si rivolgono aggressivi ai professori, difendendo a spada tratta i ragazzi, dando per scontato che siano vittime di eccessi e abusi di potere. Senz’altro una generalizzazione, ma indicativa di un radicale cambio di atteggiamento che ha alla radice una mancanza di fiducia e forse anche una confusione di ruoli.
Le stesse suddette e famigerate chat dei genitori sono spesso un ricettacolo di lamentele, ingerenze, prese di posizione che spesso denotano la volontà dei famigliari di giudicare l’operato del corpo docente, senza aver sempre tutti gli elementi per poter fare delle valutazioni serene e ponderate.
L’impressione è che anche l’avvicinamento che le tecnologie consentono – ovvero, per esempio, “vedere” direttamente i voti sul registro elettronico – induca talvolta i genitori a ritenere di avere un punto di osservazione dell’andamento scolastico dei figli esattamente equivalente a quello degli insegnanti.
In realtà sarebbe forse opportuna una maggiore consapevolezza che quanto avviene in classe resta una dimensione che solo i presenti possono vivere appieno e che, per rimanere nel solco di quanto accennato, non sono solo i voti di profitto che definiscono il giudizio sulla crescita e l’apprendimento di uno studente. Gli anni di scuola non dovrebbero mai essere vissuti come delle gare fra concorrenti, o corse ad ostacoli in cui bisogna vincere ed arrivare per primi.
Una classe di alunni ad inizio anno, non è e mai dovrebbe essere un drappello di corridori al nastro di partenza, ma una comunità intenta a co-educarsi e a crescere insieme. Anche per questo nei colloqui con i docenti sarebbe opportuno che questi e le famiglie ritrovassero uno spirito di collaborazione per il bene dei ragazzi che talvolta pare mancare.
Ai docenti l’onere di sapersi anche mettere in discussione, accettare le critiche di studenti e genitori, prima di tutto attraverso i loro rappresentanti ed eventualmente rivedere alcuni obbiettivi o metodi; alle famiglie, specularmente spetta la responsabilità di non interpretarsi come difensori a prescindere dei figli che non sono chiamati ad andare bene a scuola ad ogni costo, quanto piuttosto a crescere nelle loro competenze, anche, se necessario, fidandosi della severità costruttiva dei loro insegnanti.
Ciò che sembra necessario è che ciascuna parte assuma il ruolo che le compete, dietro la cattedra, fra i banchi e da casa, senza cortocircuiti virtuali, ma con l’onestà intellettuale di chi sa che solo una convergenza fattiva delle tre componenti garantisce quel clima di serenità e rispetto che è presupposto fondamentale per fare degli anni scolastici solida piattaforma e fucina feconda dei cittadini di domani.
Giovanni M. Capetta
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