La sinodalità in famiglia

Prosegue il percorso di approfondimento sulla sinodalità alla luce dell’esperienza di don Domenico D’Ambrosi

«Oggi e ogni giorno tu, sposo, guardando negli occhi la tua sposa, dille: “Tu sei un dono di Dio per me!” Così tu, sposa, al tuo sposo: “Tu sei un dono di Dio per me!”».

Una volta ho detto queste parole accalorate durante la celebrazione di un matrimonio. Notai subito gli occhi lucidi degli sposi e sui volti dell’assemblea un’emozione profonda, un assenso sorridente, occhi che si incrociavano commossi e luminosi verso il proprio partner.

La Verità di Dio tocca i nostri cuori così e ci fa ripartire. Sì, perché Dio è Amore, Egli ama la famiglia. La prima realtà che ha voluto far sua come una volta, come al principio, è stata la famiglia. Ha vissuto la sua divinità nel primo contesto umano: la famiglia. La prima manifestazione della sua divinità l’ha compiuta – come ci racconta il Vangelo di Giovanni – alle nozze di Cana di Galilea. Parte da qui la verità della sua promessa: «Dove sono due o più uniti nel mio nome io sono in mezzo a loro» (Mt 18,20).

L’altare presso il quale gli sposi si uniscono nel giorno del matrimonio è la sorgente e la testimonianza continua di questa promessa. È una partenza alla grande. Non sono più in due, ma in tre. Ora, e da ora, c’è Lui, c’è Gesù con loro. Con la sua grazia, con la sua amicizia, con la sua Parola. Li tiene per mano, ha sguardo rivolto a loro.

Questa è la sinodalità in famiglia, ma per custodire un tale meraviglioso profumo occorre: guardarsi negli occhi e guardare nella stessa direzione; sapersi sedere almeno una volta al mese; essere anfore di benedizione per i figli (cfr EG); guardandosi negli occhi essi incontrano lo sguardo fiducioso e premuroso di Gesù.

Sono in una compagnia incoraggiante e illuminante e così, insieme, avvertono la voglia di raggiungere la meta insieme: l’eternità. Ma prima Gesù dice loro: «Io conto su di voi!». E così essi mettono a frutto i talenti per il bene loro e per il bene di tutti. Puntano in avanti e in alto, pur essendo impegnati in varie attività e in vari posti, ricchi di un amore che li unisce anche a distanza.

È necessario sedersi almeno una volta al mese: per dialogare, per pregare insieme oltre la domenica, per ascoltarsi, per accogliersi, per purificarsi, per chiedersi perdono, per ripartire, per godere la gioia della guarigione dello spirito e rinnovare la gioia del patto dell’amore.

È L’amore che vince tutto! Che vince ogni timore, ogni giudizio, ogni accusa, ogni gelosia, ogni voglia di mandare all’aria tutto, ogni prevalenza di freddezza e di nervosismo! Occorre, allora, scegliere un giorno al mese, fare una sorta di ritiro, mettendo ancora di più la Parola di Dio al primo posto, il noi al primo posto (non più l’io dell’orgoglio e della presunzione, non più il tu dell’accusa e della arroganza, non più la divisione). Che risplenda la gioia della comunione, del patto che rinasce e si rinnova. E questo, mettendosi in spirito e in atteggiamento di ascolto e di dialogo, guardandosi negli occhi, accogliendo l’altro/a pienamente in sé, mettendosi nei suoi panni, non interrompendo mai.

Occorre poi domandarsi: ma c’è qualcuno o qualcosa che possa aiutarci in questo nostro arduo cammino di spiritualità coniugale? E la luce si accende. Ci ricordiamo di alcuni amici che già vivono questo cammino, che c’è l’una o l’altra spiritualità, l’uno o l’altro movimento ecclesiale, come la Fraternità di Emmaus. Allora perché non ci uniamo a loro?

E così ci si accorge che tante coppie, tante famiglie accanto a noi hanno la stessa aspirazione, la stessa prova, le stesse speranze. Si scopre che si può diventare santi nella e grazie alla vita matrimoniale, come i santi coniugi Luigi e Zelia Martin. E si può essere santi insieme agli altri, insieme ad altre coppie: che bel cammino! Che meravigliosa sinodalità!

E così si diventa anfore di benedizione per i figli. La ricchezza interiore, la pace, l’armonia, l’accoglienza reciproca raggiunge i figli. La bellezza che abita in noi viene trasmessa ai figli: siamo il loro Vangelo vivente. Occorre che si diventi educatori, accompagnatori, missionari dei figli. Occorre dimenticare i propri pesi e mettere i figli al primo posto, dedicare a loro tempo, ascolto, dialogo. Un dialogo intuitivo, premuroso, paziente, sapiente; ascoltando dapprima loro fino in fondo, senza interrompere, guardando negli occhi, sedendo accanto; non con il tono minaccioso, ma disponibile, amabile: amarli come vorremmo essere amati in quel momento, in quella situazione. E questo fa respirare il profumo della sinodalità della famiglia! E questo fa dire l’uno all’altra: «Tu sei un dono di Dio per me!».

Per il prossimo appuntamento parleremo della sinodalità in parrocchia.

don Domenico D’Ambrosi

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