Piccolo Coro “Mariele Ventre” dell’Antoniano, amato da boomer e generazione Z

Oltre 500 i brani di repertorio del coro tra le cui fila, in questi anni, sono passati oltre mille coristi.
Foto di Gustavo Rezende da Pixabay

Tanti anni di studio e finalmente ecco il diploma in pianoforte, conseguito a pieni voti al conservatorio di Milano, coltivando un sogno nel cassetto: diventare un’apprezzata concertista. Ma poi arriva p. Berardo. L’aspettava in chiesa. Sapeva che quel giorno sarebbe andata a messa. Alla fine della celebrazione la ferma, le dice che la Rai aveva proposto un programma televisivo di canzoni per bambini e le chiede di aiutare i frati dell’Antoniano ad insegnare le canzoncine ai bambini.

Questo significava che lei avrebbe dovuto accantonare per un po’ i suoi progetti artistici. Le pesa non poco accettare, ma lo fa in nome dell’amicizia che legava la sua famiglia ai frati. “Da quando avevo sei anni facevo parte dell’associazione bimbe della parrocchia di Sant’Antonio – racconterà qualche tempo dopo in un’intervista – i frati sapevano che conoscevo bene la musica e così mi chiesero di aiutarli. Fu una cosa assolutamente improvvisata. E io pensavo che fosse finita lì. Invece l’anno successivo me lo richiesero, e l’anno dopo e l’anno dopo ancora”.

Ha 24 anni Maria Rachele Ventre (ma noi abbiamo imparato a conoscerla come Mariele Ventre) quando affianca Cino Tortorella (1927-2017) nella terza edizione dello Zecchino d’Oro.

Il programma, uscito dal cilindro del Mago Zurlì, dopo le prime due edizioni a Milano, viene trasferito nel 1961 a Bologna. Nato come una specie di fiaba-varietà ispirata al Pinocchio di Collodi – il nome “Zecchino d’oro” nasce proprio dal racconto collodiano e la canzone vincitrice della prima edizione ricevette in premio, per l’appunto, uno zecchino d’oro staccato dall’albero spuntato nel campo dei miracoli – con il trasferimento a Bologna la trasmissione abbandona il legame pressoché univoco con la fiaba, assumendo una fisionomia più ampia.

Dopo le prime due edizioni “bolognesi”, i piccoli protagonisti esprimono il desiderio di continuare a cantare e a stare insieme tutto l’anno. Mariele decide di assecondare questo desiderio e – con l’appoggio di p. Berardo Rossi – fonda una realtà stabile all’interno dell’Antoniano.

Era il 1° marzo 1963, quando si ritrovarono per la prima volta i bambini che avrebbero costituito il Piccolo Coro.

“Piccolo” perché all’inizio i suoi componenti erano meno di dieci. Con il passare del tempo il numero dei bambini aumentò e il coro arrivò ad avere fino a 80 elementi. “Avevo capito – raccontava Mariele Ventre in un’intervista – che era una cosa che mi piaceva. Stare con i bambini, insegnare musica e canto, essere impegnata tutto il giorno. E poi, una volta, si insegnava anche il solfeggio. Si cantava con lo spartito davanti. Si imparava davvero la musica”.

“Il coro rappresenta l’infanzia, il periodo più bello e più dolce che può capitare di vivere”, diceva.

Anche se forse faticheranno ad ammetterlo, ma intere generazioni di boomer (come vengono chiamati oggi) hanno sognato almeno una volta di cantare con i bambini dell’Antoniano, guidati dalla “fatina” Mariele Ventre, che muoveva in aria le mani come se fossero bacchette magiche. E le canzoni di allora sono amate e conosciute ancora oggi, anche dalla generazione Z e dai piccoli della generazione Alpha.

Basta accennare “quarantaquattro gatti…”, che subito c’è qualcuno pronto a proseguire “in fila per sei col resto di due”.

Il brano interpretato da Barbara Ferigo e vincitore della 10ª edizione dello Zecchino d’Oro, risulta ancora oggi il più amato e conosciuto di sempre. Testo e musica sono del modenese Giuseppe Casarini (1924-2015), all’epoca 44enne insegnante di educazione musicale alle medie di Nonantola, che per comporla impiegò due settimane per il testo e un quarto d’ora per la musica. Ma dello Zecchino del 1968 non ricordiamo solo i “Quarantaquattro gatti”.

Chi non ha mai sentito “Il torero Camomillo”, che racconta le avventure di un torero un po’ troppo tranquillo che preferisce accarezzare il toro e farsi un pisolino? E poi, “un lalla un lalla un lallallà”, c’è “Il valzer del moscerino”, che quell’anno giunse al 3° posto, mancando la prima posizione per soli quattro punti.

La canzone interpretata da Cristina D’Avena (che di lì a qualche anno sulle sigle dei cartoni animati avrebbe costruito la sua carriera artistica) racconta il singolare valzer, accompagnato dalle note del vento, che culla il sonno di Beppone, ma finisce all’improvviso quando il moscerino viene scacciato da un gatto birbone. Di che colore sarà stato quel gatto? Perché, si sa, “i patti erano chiari”, “Volevo un gatto nero”.

Il brano scritto da Mario Pagano e presentato l’anno successivo, non vinse l’11° Zecchino d’Oro (per la cronaca nel 1969 il vincitore fu “Tippy, il coniglietto hippy”), ma fu – ed è – uno dei brani più amati da grandi e piccini. Ebbe grande successo anche a livello internazionale (quell’anno, per la prima volta lo Zecchino d’Oro venne trasmesso in eurovisione), tanto che fu tradotto e in Giappone vendette milioni di dischi.

Ancora oggi, poi, nessuno sa “Il coccodrillo come fa?” – brano vincitore nel 1993 – tanto che si sono aperte diverse discussioni per cercare di individuare un vocabolo in lingua italiana per descrivere il verso del coccodrillo e nella questione è intervenuta anche l’Accademia della Crusca.

Se, comunque, nel terzo millennio non è dato sapere come definire il verso del coccodrillo, una cosa è certa. Tutti siamo sicuri che, “in un fiume giù nel Marocco”, “Cocco” ama “Drilli”, al punto da chiamare a raccolta più di mille coccodrilli per liberare la sua amata dalle grinfie del cacciatore che l’aveva catturata con l’intento di farne “borsette, portafogli e beauty-case” (che non lo vengano a sapere i censori dell’ultima ora, perché troverebbero sicuramente un motivo per intervenire sul testo del brano vincitore nel 1974, che a modo suo racconta qual era la moda di allora e ci presenta una storia d’amore apparentemente inverosimile, dove i protagonisti hanno fauci pericolose e raccapriccianti e un corpo tozzo e strisciante).

Se ci viene fame, nessun problema, ci sono “Le tagliatelle di nonna Pina”.

Il brano ispirato da Giuseppina Villani, suocera dell’autore Gian Marco Gualandi, venne rifiutato diverse volte prima di essere accettato in gara nel 2003, quando vinse il 46° Zecchino d’Oro. Insieme a “Il cuoco pasticcione” (vincitore nel 2000), la canzone è diventata famosa grazie alla trasmissione televisiva “La prova del cuoco”.

Potremmo andare avanti per ore.

Oltre 500 sono i brani di repertorio del Piccolo Coro “Mariele Ventre” dell’Antoniano, tra le cui fila, in questi anni, sono passati oltre mille coristi. Due miliardi le visualizzazioni sul canale dedicato YouTube. In attesa che venga ufficializzata sul sito www.zecchinodoro.org la data della grande festa dal vivo “Zecchino d’Oro Show”, il Piccolo Coro, composto oggi da 65 bambine e bambini dai 4 ai 12 anni e diretto da Sabrina Simoni, festeggia sulla sua pagina Fb con un video in cui si raccontano questi sessant’anni di musica, accoglienza, solidarietà e attenzione ai più fragili, valori che sono da sempre al centro di un progetto, nato il 1° marzo 1963 da un’idea di una giovane e talentuosa pianista che sognava di fare la concertista e che non è riuscita ad esibirsi in tutti i teatri del mondo, ma che, con il suo coro, è entrata nelle case e nei cuori di tutti.

Irene Argentiero

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