La rivoluzione del lavoro

Il mondo del lavoro, negli orari, spesso nelle mansioni, nell’organizzazione e nei contratti, sembra fermo alla metà del secolo scorso.
Foto di Malachi Witt da Pixabay

Addirittura laburisti, si sono autodefiniti alcuni partiti socialisti del passato e ancora presenti in certe democrazie. Laddove lavoro e lavoratori erano il target principale dell’azione politica. Per non parlare dei sindacati, che hanno nel Dna la tutela della classe lavoratrice.

Absit iniuria in questa affermazione, ma la realtà di oggi vede una situazione ben diversa dal passato: i partiti parlano o di Pil, o di protezioni e prebende; i sindacati vedono i pensionati tra la maggioranza degli iscritti, e spesso sono scomparsi da molti settori economici. Il boom del terziario e l’atomizzazione dei lavoratori (ognun per sé) ne hanno comportato l’emarginazione.

Rimane un dato di fatto grande come una casa: siamo nel 2022. E andremo avanti nel tempo, sicuramente non indietro. Mentre il mondo del lavoro, negli orari, spesso nelle mansioni, nell’organizzazione e nei contratti, sembra fermo alla metà del secolo scorso, ai tempi di contadini-operai-impiegati-padroni e del cartellino da timbrare.

Nel frattempo è successo di tutto. Dagli anni Settanta in poi, l’ingresso massiccio delle donne nel mondo del lavoro, fino ad allora confinate nel ruolo di casalinghe e madri. La conciliazione dei due ruoli ancor oggi è ardua: non è un caso che la curva demografica sia iniziata a calare – quindi a precipitare – da allora ad oggi.

Quindi il digitale, l’informatica, i computer che inesorabilmente stanno soppiantando la “classe operaia”.

E per fortuna, perché fare meno fatica e vivere meglio si chiama progresso. Ma internet&co. sono entrati a piè pari pure nelle banche, nelle redazioni, in ogni ufficio, tra i colletti bianchi ormai anch’essi completamente trasformati.

Non parliamo della globalizzazione: è il mondo – e non più la zona industriale in fondo al paese – l’area di riferimento dell’economia. Non parliamo della frammentazione dei lavori; del settore “servizi” ogni giorno più multiforme; del sostanziale aggiramento di contratti e norme che nella sola Italia ha prodotto quasi due milioni di lavoratori assai precarizzati.

La pandemia ci ha poi fatto scoprire la relativa utilità dei “posti di lavoro” e degli orari rigidi laddove è importante arrivare a “fare” e non a “stare”.

Ma questo è solo un bignami delle centinaia di temi che la rivoluzione del lavoro porta con sé. E se i referenti classici sono in altro affaccendati, deve essere il mondo cattolico ad impegnarsi su temi che hanno riflessi enormi sulle persone, sulle famiglie, sulla natalità, sul vivere comune. È il nostro momento.


Nicola Salvagnin

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