Un piccolo aneddoto, raccontato da chi quel giorno era presente, torna alla memoria in questi giorni estivi abitati dall’afa e, ahinoi, dal rumore. Era il 5 ottobre 1984 quando san Giovanni Paolo II, in visita alla Certosa di Serra San Bruno, in Calabria, condivise il pranzo frugale con i monaci.
Nello Statuto dell’Ordine religioso, fondato nel 1084 da san Brunone di Colonia, al capitolo 4 leggiamo: «Chi l’ha sperimentato, sa quale frutto porti il silenzio. Benché nei primi tempi tacere possa essere una fatica, gradualmente, se saremo stati fedeli, dallo stesso nostro silenzio nascerà in noi l’attrattiva verso un silenzio ancora maggiore. Per ottenerlo è stato stabilito che non possiamo parlare gli uni con gli altri senza il permesso del presidente».
Il silenzio permea ogni momento della giornata del certosino, finanche quando si ritrova a tavola con i confratelli. Quel giorno papa Wojtyla, che invece amava conversare ed entrare in relazione con gli altri, prese una posata e batté su un bicchiere facendolo tintinnare. E col sorriso disse più o meno queste parole: «Vediamo se i certosini sanno ancora parlare».
Dispensati dal Papa in persona, i monaci infransero il loro silenzio per dialogare amabilmente col commensale d’eccezione. L’aneddoto esprime tutto il valore del silenzio in un tempo in cui anche l’espansione dei social network ha reso tutti più ciarlieri.
Non c’è argomento sul quale non si esprima il proprio parere, spesso non sostanziato dalla competenza.
Se un tempo si dibatteva di tattiche calcistiche o di giocatori da acquistare al prossimo calciomercato, ora ci si avventura più pericolosamente in “dotte” teorie su virus e vaccini, sulle grandi questioni di politica internazionale, sulle dinamiche della finanza mondiale.
Il web è diventato un grande bar dello sport dove si parla di tutto e spesso a sproposito.
Nulla di male in una società di donne e uomini liberi, almeno finché le nostre parole, dette o scritte, non arrivano a creare danni agli altri o fino a quando non si scade nella rissa verbale o nel turpiloquio.
Il vero dramma – perché di dramma si tratta – è che quello che si legge sul web non è che specchio rivelatore della nostra società dove l’astio reciproco, quando non l’odio, le invidie, la superbia da “ego” saliti sulle nuvole non sono più vergogne da nascondere ma trofei da esibire.
Per il resto dovremmo far nostra una buona abitudine: parlare solo quando abbiamo qualcosa da dire preferendo, in altri casi, il silenzio. Il silenzio è davvero d’oro. E quando proprio non possiamo fare a meno di esprimerci, facciamolo in italiano: l’uso a dir poco “creativo” della nostra lingua è sempre rivelatore di ignoranza. Un pessimo biglietto da visita anche quando le idee sono buone.