Interprete per i miei fratelli ucraini

Katia Forino vive a Pagani da 20 anni, ma è originaria di Kamenets Podolskij. Sta aiutando la Caritas diocesana come traduttrice.

Katia Forino è arrivata a Pagani 20 anni fa, aveva 7 anni, si ricongiungeva con la mamma Viktoria che nel frattempo aveva raggiunto la nonna Larissa, arrivata per lavoro 30 anni fa, dopo la caduta della cortina di ferro.

La passione per le lingue è nata da un’esigenza personale: «Quando ho iniziato la scuola non parlavo una parola di italiano. Ho avuto la fortuna di incontrare la maestra Alba che mi aiutava facendo dei disegni. Ero piccola, ma forse già lì maturai la consapevolezza di quanto fosse importante conoscere il mondo e stare accanto alle persone». Katia è cresciuta con questa consapevolezza, ora studia Lingue e mercati esteri, parla italiano, ucraino, russo, inglese, francese e tedesco. Una manna dal cielo in questo periodo per la Caritas.

È stato difficile fare da mediatrice?

«All’inizio sì, sia per gli aspetti organizzativi che per il carico morale. Ho sentito un peso psicologico perché caratterialmente mi immedesimo nelle esperienze e quindi le interiorizzavo».

La cosa che più ti ha colpito?

«Traducendo i loro racconti ho appreso che in molti hanno papà e nonni che ad oltre 60 anni sono dovuti rimanere a guardia delle città, pronti a morire per la propria terra. Poi mi hanno colpito le esperienze dei bambini: è il futuro dell’Ucraina che viene messo a rischio. Vanno preservati e salvati».

Katia Forino fa da interprete durante l’incontro tra il Vescovo ed i rifugiati accolti ad Episcopio

Credono che questo periodo sia una parentesi?

«Tutti sperano di ritornare al più presto nella propria terra. Tanti hanno bisogno di trovare un lavoro temporaneo per mettere da parte i soldi per ricostruire la loro vita, considerato che hanno perso tutto».

Hai ancora dei familiari in Ucraina?

«Sì, mia nonna Larissa dopo Pagani è ritornata a Kamenets Podolskij. C’è anche mio zio Sergej, è un militare in servizio nella caserma della città e fa la guardia per difenderla. La nostra città non è stata bombardata ma ci sono sirene che suonano in continuazione».

Come stai vivendo questa esperienza?

«Il volontariato ti arricchisce l’anima. Vedere la gioia nel volto di chi aiuti non ha prezzo. Ai giovani, invece, dico: siate curiosi, imparate le lingue e scoprite le nuove culture perché le nostre armi sono queste, non altre. Dobbiamo farlo per noi stessi e per chi verrà dopo di noi».

Dove attingi questa forza?

«Dalle donne della mia famiglia. Ognuna di loro mi ha insegnato i valori e mi ha donato uno spirito forte e combattivo. Ho conosciuto anche la mia tris nonna Zina, che mi raccontava della Seconda guerra mondiale, di quando portava il cibo alle persone ebree. Diceva sempre “lavorerò finché avrò vita”, e così è stato».

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