La guerra della porta accanto

Nell’editoriale del numero di marzo di Insieme il direttore Salvatore D’Angelo racconta la rapida mobilitazione e il grande cuore della comunità diocesana
Ucraina - messa Vescovo

La guerra della porta accanto, la guerra del volto accanto. Il conflitto in Ucraina potrebbe essere definito anche in questo modo. È vero che negli anni 90 del secolo scorso le ostilità erano praticamente in casa, nei Balcani. Oggi la situazione è diversa. C’è un nemico molto potente, Vladimir Putin, che minaccia la libertà e la democrazia. È dotato dell’arma nucleare, che non ha esitato a brandire quando l’Occidente ha alzato un muro di sanzioni durissime.

A fare la differenza è anche la narrazione della guerra. Il racconto continuo. Le notizie incessanti. Le immagini e le testimonianze in tempo reale. Grazie ai mezzi di comunicazione sociale, soprattutto attraverso i social, possiamo toccare con mano la sofferenza. Le ostilità non sono più mediate dai telegiornali dell’ora di punta. Arrivano direttamente sul telefonino, tramite WhatsApp.

A inviarle sono le stesse vittime. Persone che abbiamo potuto conoscere perché badanti, impiegate in aziende del territorio o in qualche bar, giovani arrivati in vacanza studio o ospitati per un torneo di calcetto, familiari di qualche conoscente emigrato dall’Ucraina ed oggi sistemato stabilmente nelle nostre città.

I caduti hanno un volto. Questo ci ha toccato moltissimo, più della paura che le prossime bombe russe possano piovere sulle nostre teste. Abbiamo reagito in maniera corale. Le parrocchie hanno organizzato momenti di preghiera e collette. Si è manifestato con forza il sì alla pace. Ci siamo fatti prossimi alla comunità ucraina in Italia, che abbiamo scoperto – forse con sorpresa – che è presente numerosa nelle nostre realtà. C’è stato un moto di bene, che speriamo non sia solo emotivo. Ci ha fatto riscoprire comunità.

La pace è dialogo, e non lo affermiamo per puro ideale. Il «dialogo autentico», ricorda Luigino Bruni facendo sue le parole del filosofo Martin Buber, «è quello in cui ogni interlocutore percepisce, aderisce e approva, anche dove si trova in contrapposizione con l’altro, quello che quest’altro realmente esistente percepisce; solo così la contrapposizione che certamente non potrà essere eliminata, potrà essere invece umanamente risolta e condotta al suo superamento». Siamo chiamati a questo: favorire il superamento delle tensioni. Preghiamo per questo. E il contributo è caratterizzato da ogni gesto, dall’offerta di un pasto caldo, di una coperta o di un letto dove riposare. Saremo così testimoni del Concilio. Vivremo pienamente la nostra fede.

«Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. […] Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia» (1, Gaudium et Spes).

Per questo la comunità dei cristiani è in prima fila ora e si impegna ad esserlo anche domani.

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